Nella città di Firenze, non lontano daPiazza del granduca , si trova una traversa che credo si chiamLPorto rossa; qui, davanti a una specie di bancarella di verdura, sta un porcellino di bronzo, di bella fattura; fresca e limpida acqua scorre dalla bocca di quell'animale, che a causa dell'età è tutto verde scuro solo il grugno brilla, come fosse stato tirato a lucido, e questo si deve alle molte centinaia di bambini e di poveretti che vi si afferrano per avvicinare la bocca a quella dell'animale e bere. È come un quadretto vedere quel bel porcellino di bronzo abbracciato da un grazioso fanciullo mezzo nudo, che accosta la fresca boccuccia al suo grugno.
Chiunque, quando arriva a Firenze, è in grado di trovare quel luogo; basta che chieda del porcellino di bronzo al primo mendicante che incontra, e lo troverà di sicuro.
Era una tarda sera d'inverno, le montagne erano coperte di neve, ma c'era il chiaro di luna e il chiaro di luna in Italia dà un chiarore che è come quello di un buio giorno invernale al nord anzi è meglio, perché l'aria stessa brilla, l'aria dà sollievo, mentre al nord il freddo cielo plumbeo preme contro la terra, la gelida e umida terra che un giorno premerà sulle nostre bare.
Nel giardino del castello granducale, ai piedi dei pini, dove migliaia di rose fiorivano nel periodo invernale, era rimasto per tutto il giorno un ragazzetto vestito di stracci, un ragazzetto che poteva rappresentare l'Italia, così bello, così sorridente, eppure così sofferente. Aveva fame e sete, nessuno gli diede un soldo, e quando venne buio e il giardino dovette essere chiuso, il custode lo cacciò via. Così rimase a lungo sul ponte che passava sul fiume Arno a sognare, a guardare le stelle scintillanti nell'acqua.
Si avviò verso il porcellino di bronzo, si chinò in avanti e gli gettò le braccia intorno al collo; poi mise la bocca vicino al grugno splendente e bevve a grandi sorsate quella fresca acqua. Lì vicino si trovavano alcune foglie di insalata e qualche castagna: quella fu la sua cena.
Non c'era un'anima per strada; era tutto solo, così montò sul dorso del porcellino di bronzo, si allungò in avanti in modo che la testolina ricciuta riposasse su quella dell'animale, e prima ancora di accorgersene, si addormentò.
A mezzanotte il porcellino si mosse, il ragazzo sentì che gli diceva con chiarezza: "Ragazzino, tieniti forte, adesso partiamo!", e difatti partì col ragazzo; fu proprio una strana cavalcata!
Innanzitutto giunsero mPiazza del granduca; lì il cavallo di bronzo su cui stava la statua del duca nitrì forte, le armi variopinte del vecchio municipio brillarono come immagini trasparenti e il David di Michelangelo ruotava la sua fionda. I gruppi di bronzo con Perseo e col Ratto delle Sabine erano fin troppo vivaci; un grido di morte si innalzò da loro e risuonò su tutta quella meravigliosa piazza deserta.
Vicino dXPalazzo degli Uffizi, nella loggia dove la nobiltà si raduna a festeggiare il carnevale, il porcellino di bronzo si fermò.
"Tieniti forte!" esclamò l'animale. "Tieniti forte perché adesso saliamo le scale!" Il piccolo non diceva neppure una parola: era terrorizzato, ma altrettanto divertito.
Entrarono in una lunga galleria, il ragazzo la conosceva bene perché c'era già stato; le pareti sfoggiavano affreschi, c'erano statue e busti, tutti immersi in una luce bellissima come fosse stato giorno; ma la cosa più bella fu quando la porta di una sala laterale si aprì: sì, il piccolo ricordava quella magnificenza, eppure in quella notte tutto brillava del massimo splendore.
Qui si trovava una graziosa donna nuda, bella come solo la natura e un grande maestro del marmo sono in grado di modellare; muoveva le sue deliziose membra, i delfìni saltavano ai suoi piedi, l'immortalità brillava dai suoi occhi. Il mondo la chiama la Venere medicea. Attorno a lei splendevano statue di marmo, uomini bellissimi; uno di loro affilava la spada e era chiamato il molatore, gladiatori irrompenti formavano un altro gruppo; la spada veniva affilata e le lotte scoppiavano per la dea della bellezza.
Il ragazzo fu come accecato da tutto quello splendore, le pareti rilucevano di mille colori, tutto lì aveva vita e movimento. L'immagine di Venere si sdoppiò e apparve la Venere terrestre, turgida e ardente come l'aveva vista Tiziano. Le immagini di due bellissime donne, le splendide membra senza veli, si allungavano sui morbidi cuscini, il petto si sollevava e la testa si muoveva così che i folti riccioli ricadevano sulle spalle ben tornite, mentre gli occhi scuri esprimevano pensieri ardenti; ma nessuna di quelle immagini osava uscire completamente dalla cornice. Persino la dea della bellezza, i gladiatori e il molatore restarono ai loro posti, perché la gloria che si irraggiava dalla Madonna, da Gesù e da San Giovanni li costringeva all'immobilità. Le immagini sante non erano ormai più immagini, erano diventate i santi in persona.
Che splendore e che bellezza da una sala all'altra! Il ragazzetto le visitò tutte, e anche il porcellino di bronzo camminò passo passo, in mezzo a tutta quella magnificenza e a quella meraviglia.
Una visione scacciava l'altra, solo un'immagine si fissò nella mente, soprattutto per quei gioiosi e felici bambini che vi erano rappresentati e a cui il piccolo aveva già fatto cenno, una volta di giorno.
Molti passano davanti a quest'immagine con leggerezza eppure essa contiene in sé un tesoro di poesia: Cristo discende negli Inferi, ma non si vedono i dannati intorno a lui, bensì i pagani. Il fiorentino Angiolo Bronzino è l'autore di questo affresco; la cosa più grandiosa è l'espressione di certezza che c'è nei bambini che saliranno in cielo; due piccoli si abbracciano, uno tende la mano verso un altro più in basso e indica se stesso, come per dire: "Io salirò in cielo!."
Tutti gli adulti stanno lì, dubbiosi e pieni di speranza oppure si inchinano umilmente davanti al Signore Gesù, implorando.
Il ragazzo osservò quell'immagine più a lungo delle altre, il porcellino di bronzo vi rimase fermo davanti, si sentì un fievole sospiro; proveniva dall'affresco o dal petto dell'animale? Il ragazzo sollevò la mano verso quei bambini sorridenti, allora l'animale ripartì con lui e attraversò l'ampio ingresso aperto.
"Grazie! Tu sia benedetto, caro animale!" esclamò il ragazzo accarezzando il porcellino che bum! bum! scendeva le scale di corsa con lui.
"Grazie a te! E che tu sia benedetto!" replicò il porcellino di bronzo. "Io ti ho aiutato e tu hai aiutato me, perché solo con un ragazzo innocente sul dorso ho la forza di muovermi! Vedi, oso persino passare sotto le luci dell'immagine della Madonna. Ti posso portare dappertutto, ma non in chiesa! Ma se tu sei con me, sono in grado di guardare dentro attraverso la finestra aperta, stando all'ingresso. Non scendere; se lo fai, resterò qui morto, come mi vedi di giorno nella stradinaPorto rossa!"
"Resterò con te, animale benedetto!" rispose il piccolo, e ripartirono a tutta velocità per le strade di Firenze, fino alla piazza che si trova davanti alla chiesa di Santa Croce.
La grande porta a due battenti si spalancò di colpo, le luci si irraggiavano dall'altare, e, attraversando la chiesa, uscivano sulla piazza deserta.
Una strana luce proveniva da un monumento nella navata laterale sinistra e migliaia di stelle in movimento formavano una specie di aureola. Un'insegna dominava su quella tomba, una scala rossa su fondo blu, che sembrava infuocata. Era la tomba di Galilei, un monumento molto semplice, ma la scala rossa su fondo blu è un'insegna piena di significato, è come l'insegna stessa dell'arte, perché la strada verso il cielo è rappresentata sempre da una scala infuocata. Tutti i profeti dello spirito salgono al cielo come il profeta Elia.
Nella navata di destra della chiesa ogni figura dei ricchi sarcofaghi sembrava avesse preso vita. Qui c'era Michelangelo, Dante con la corona di alloro intorno alla fronte, Alfieri, Machiavelli, uno di fianco all'altro riposano qui quei grandi uomini, l'orgoglio dell'Italia.lÈ una chiesa magnifica, molto bella, e forse grande come il Duomo di marmo di Firenze.
Sembrava che i vestiti di marmo si muovessero e che quelle grandi figure sollevassero la testa e guardassero in quella notte piena di canti e di musica verso l'altare variopinto e illuminato dove ragazzi vestiti di bianco facevano dondolare gli incensieri dorati; il forte odore si diffondeva dalla chiesa fino alla piazza.
Il ragazzo tese la mano verso quel bagliore e in quel momento il porcellino ripartì; lui dovette tenersi ben forte, il vento gli soffiava nelle orecchie e poi sentì che il portone della chiesa, chiudendosi, cigolava sui cardini, ma in quello stesso istante gli sembrò di perdere conoscenza, sentì un freddo intenso e spalancò gli occhi.
Era mattina e lui era quasi scivolato giù dal porcellino, immobile nella stradaPorto rossa , dove era solito stare.
Il ragazzo fu colto da paura e terrore al pensiero di colei che chiamava mamma e che lo aveva mandato fuori il giorno prima raccomandandogli di procurarsi del denaro; lui non ne aveva, ma aveva fame e sete. Si strinse ancora una volta attorno al collo del porcellino, gli baciò il grugno, gli fece cenno col capo e poi si incamminò per una stradina tortuosa, larga appena per un asino con un carico disposto accortamente. Una grossa porta ferrata stava socchiusa, da lì lui salì per una scala in muratura con le pareti sporchissime e una corda liscia che fungeva da ringhiera; giunse in un cortile, dove dal pozzo fino ai vari piani della casa erano stati tirati fili di ferro dai quali pendevano i secchi, uno vicino all'altro; quando la carrucola strideva, un secchio si metteva a ballare nell'aria facendo schizzare l'acqua in cortile. Da lì si proseguiva per un'altra scala cadente, fatta di mattoni; due marinai russi la scendevano contenti e spinsero quasi a terra il povero ragazzo. Venivano dai loro bagordi notturni. Li seguiva una donna non più giovane, ma molto robusta, con folti capelli neri. "Cos'hai portato a casa?" chiese al ragazzo. "Non arrabbiarti!" la implorò lui. "Non ho niente, proprio niente!" e afferrò il vestito della madre come se volesse baciarlo; entrarono in camera; non vogliamo descriverla, bisogna solo dire che c'era uno scaldino di porcellana pieno di brace che si chìamamarito e che lei si mise sul braccio per scaldarsi le dita; poi diede una gomitata al ragazzo dicendo: "Certo che li hai i soldi!".
Il bambino si mise a piangere, lei lo spinse col piede e lui si lamentò a voce alta. "Taci, altrimenti ti rompo quella testa urlante!" gridò lei agitando lo scaldino che teneva in mano; il ragazzo si accovacciò a terra con un grido. In quel mentre entrò la vicina di casa, anche lei con il suomarito sul braccio. "Felicita! Cosa stai facendo al bambino?" "Il bambino è mio!" rispose Felicita. "Posso anche ucciderlo, se voglio, e te con lui, Giannina!" e lanciò il suo scaldino. L'altra sollevò il suo per ripararsi e così questi si urtarono; i cocci, il fuoco e la cenere si sparsero nella stanza, ma il ragazzo in quello stesso momento era già fuori dalla porta, di là del cortile, fuori da quella casa. Quel povero bambino continuò a correre finché non ebbe più fiato; si fermò vicino alla chiesa di Santa Croce, la chiesa che si era aperta davanti a lui la notte prima, e entrò. Tutto brillava; si inginocchiò davanti alla prima tomba sulla destra, quella di Michelangelo, e si mise a singhiozzare forte. La gente andava e veniva, fu detta la Messa, ma nessuno si preoccupò di quel ragazzo, solo un vecchietto si fermò, lo osservò e poi se ne andò come gli altri.
Fame e sete tormentarono il piccolo; era debole e malaticcio si riparò nell'angolo tra la parete e il monumento di marmo e lì si addormentò. Verso sera venne svegliato da qualcuno che lo scuoteva, si alzò e trovò davanti a sé lo stesso vecchio di prima.
"Sei malato? Dove abiti? Sei stato qui tutto il giorno?" queste furono alcune delle domande che il vecchio gli rivolse lui rispose e il vecchio lo portò in una casetta che si trovava lì vicino, in una strada laterale. Era un laboratorio di guantaio, la moglie stava ancora cucendo di gran lena quando entrarono, un barboncino bianco saltellò sul tavolo e balzò davanti al ragazzo: era rasato al punto che si vedeva la pelle rosa chiaro.
"Le anime innocenti si riconoscono tra loro!" esclamò la donna accarezzando sia il cagnette che il bambino. Quest'ultimo ebbe da quelle brave persone qualcosa da mangiare e da bere, poi gli dissero che poteva trascorrere la notte lì; il giorno dopo papà Giuseppe avrebbe parlato con sua madre. Gli diedero un misero lettino, ma per lui era bello come quello di un re poiché spesso era costretto a dormire sul duro pavimento di pietra; dormì benissimo e sognò quelle belle immagini e il porcellino di bronzo.
Il mattino dopo papà Giuseppe uscì, il povero bambino non era molto felice, perché sapeva che quell'uscita aveva lo scopo di riportarlo a sua madre, così si mise a piangere e baciò il cagnolino; la donna rivolse a entrambi un cenno di approvazione.
Che notizie portò papà Giuseppe! Parlò a lungo con sua moglie, poi lei chiamò a sé il ragazzo e lo accarezzò. "E un bravo bambino" disse "può diventare un bravo guantaio proprio com'eri tu! E ha dita sottili e molto flessibili. La Madonna ha certo stabilito che diventasse guantaio!"
Il ragazzo rimase in quella casa e la donna gli insegnò a cucire; lui mangiava bene, dormiva bene, divenne allegro e cominciò a stuzzicare Bellissima: così si chiamava il cane. La donna allora lo minacciava col dito, urlava e si infuriava, così il ragazzo si acquetava e si metteva pensieroso nella sua cameretta, che guardava verso la strada e dove veniva lasciata asciugare la pelle. Davanti alla finestra c'erano grosse sbarre di ferro; il ragazzo non riusciva a dormire, pensava continuamente al porcellino di bronzo, e improvvisamente udì dalla strada: "Kladsk! Kladsk!"; sì, era certo lui! Balzò alla finestra, ma non si vedeva nessuno.
"Aiuta il signore a portare la cassetta dei colori" disse la donna il mattino dopo al ragazzo, quando il loro giovane vicino, il pittore, arrivò arrancando con la cassetta e con una tela enorme arrotolata; il ragazzo prese la cassetta e seguì il pittore; si diressero verso la galleria, salirono la stessa scala che lui conosceva bene da quella notte in cui aveva cavalcato il porcellino; conosceva già le statue e gli affreschi, quella bella Venere di marmo e coloro che rivivevano nei loro colori, e rivide la madre di Dio, Gesù e Giovanni.
Poi si fermarono davanti all'affresco del Bronzino, dove Cristo scende negli Inferi e i bambini intorno a lui sorridono per la dolce convinzione di andare in cielo, anche il povero ragazzo sorrise, perché lui lì si trovava nel suo cielo.
"Bene, va' a casa adesso!" gli disse il pittore; il ragazzo era stato fermo così a lungo che l'altro aveva già montato il cavalletto.
"Posso guardare mentre dipinge?" chiese il ragazzo. "Posso vedere come fa a ottenere l'immagine su questa tela bianca?"
"Adesso non dipingo" rispose l'uomo prendendo il carboncino, poi la mano si mosse, rapida, l'occhio misurò l'immagine; e, nonostante ci fosse una sola riga sottile Cristo stava già lì fluttuante, proprio come sull'affresco a colori.
"Adesso vai!" disse il pittore, così il ragazzo si avviò pian piano verso casa, poi sedette al tavolo e... imparò a cucire guanti.
Ma per tutto il giorno il pensiero tornò alla sala degli affreschi, e proprio per questo si punse le dita e si comportò in modo maldestro, ma non stuzzicò Bellissima. Quando venne sera e il portone sulla strada si trovò aperto, il ragazzo sgusciò fuori casa; faceva freddo ma c'erano le stelle, belle e chiare; lui camminò per le strade ormai deserte e si trovò davanti al porcellino di bronzo; gli si chinò sopra e gli baciò il grugno lucido, poi gli sedette sul dorso e disse: "Benedetto animale, che nostalgia ho avuto di te! Questa notte dobbiamo fare una cavalcata!" .
Ma il porcellino rimase immobile e la fresca fonte zampillava dalla sua bocca. Il piccolo sedette come fosse stato un cavaliere, ma qualcuno lo tirò per i vestiti; guardò di lato e vide la piccola e ben rasata Bellissima. Il cane era uscito di casa con lui e lo aveva seguito senza che lui se ne fosse accorto. Bellissima guaì, sembrava volesse dire: "Vedi che sono qui con te? perché stai qui seduto?." Neppure un drago infuocato avrebbe spaventato il ragazzo più di quel cagnolino in quel posto. Bellissima stava per la strada senza essere vestita, come diceva la vecchia mamma; chissà cosa sarebbe successo! Il cane non usciva mai d'inverno senza indossare una pelle di pecora tagliata e cucita appositamente per lei. Quella pelle le veniva legata intorno al collo con un nastro rosso, cui era attaccato un fiocco con un sonaglio, e allo stesso modo veniva legata sotto la pancia. Il cane sembrava allora un capretto che avesse il permesso, d'inverno e vestito a quel modo, di trotterellare con \aSignora . E ora Bellissima era lì con lui e non era vestita; cosa sarebbe successo? Tutte le fantasie erano ormai svanite; il ragazzo diede un bacio al porcellino di bronzo, prese in braccio Bellissima, che tremava dal freddo, e si mise a correre più forte che potè.
"Con cosa stai scappando?" gli gridarono due gendarmi che incontrò per strada, e Bellissima si mise a abbaiare. "Dove hai rubato questo grazioso cagnolino?" chiesero, prendendoglielo.
"Ridatemelo!" implorò il ragazzo.
"Se non l'hai rubato, allora di' a casa che il cane può essere ritirato al comando di polizia." Gli diedero l'indirizzo e se ne andarono con Bellissima.
Era disperato. Non sapeva se buttarsi nell'Arno o andare a casa e affrontare la realtà. Lo avrebbero certo ammazzato di botte, pensò tra sé, "ma mi piacerebbe essere ammazzato, così morirei e andrei da Gesù e dalla Madonna!" e così andò a casa proprio per venire ammazzato di botte.
La porta era chiusa e lui non arrivava al battiferro non c'era nessuno per strada, ma trovò una pietra e con quella picchiò sulla porta. "Chi è?" gridarono dalla casa.
"Sono io!" disse il ragazzo. "Bellissima è sparita! Apritemi e picchiatemi a morte!"
Soprattutto {^Signora provò uno spavento terribile al pensiero della povera Bellissima; subito volse lo sguardo verso la parete dove stava appeso l'abito del cane; la pelle di pecora era lì.
"Bellissima alla polizia?" gridò a voce alta. "Ragazzaccio! Come hai fatto a portarla fuori? Morirà di freddo! Quella delicata bestiola in mano ai rozzi soldati!"
Il padre dovette partire subito. La donna si lamentava e il ragazzo piangeva, tutti gli inquilini si radunarono, compreso il pittore; questi si mise il ragazzo sulle ginocchia e gli fece delle domande; un frammento alla volta, venne a conoscenza di tutta la storia del porcellino di bronzo e della galleria, certo, non era facile da capire, ma il pittore consolò il ragazzo, e parlò, parlò alla vecchia che però non fu contenta fin quando il marito non ritornò con Bellissima, che era stata coi soldati. Fu una grande gioia; il pittore accarezzò il ragazzo e gli diede un piccolo fascio di fogli.
Che disegni meravigliosi, che teste divertenti! ma, più bello di tutti, c'era il porcellino di bronzo, e sembrava lì in carne e ossa. Nulla poteva essere più splendido! Si trovava sulla carta, fatto con pochi tratti, e dietro c'era abbozzata anche la casa.
"Che bello saper disegnare e dipingere! Si può riprodurre tutto il mondo!"
Il giorno dopo, non appena ebbe un momento libero, il ragazzo prese una matita e sul lato bianco di uno dei fogli cercò di copiare il disegno del porcellino di bronzo. Ci riuscì! Era un po' obliquo, un po' storto, con una zampa grossa e un'altra sottile, ma si capiva bene che cos'era! Così il ragazzo si rallegrò moltissimo con se stesso. La matita non voleva andare proprio dove doveva; ma il giorno successivo c'era disegnato di fianco un altro porcellino, e era cento volte più bello, il terzo poi fu così ben fatto che chiunque potè riconoscerlo.
La cucitura dei guanti però lasciava a desiderare e le commissioni in città venivano compiute con lentezza; questo perché il porcellino di bronzo aveva insegnato al ragazzo che Firenze era come un libro di illustrazioni, se lo si voleva sfogliare. InPiazza della Trinità c'era una sottile colonna che reggeva la dea della giustizia con gli occhi bendati e la bilancia; subito la si ritrovò sulla carta, e era stato il ragazzetto a disegnarla. La raccolta di disegni aumentò, ma comprendeva solo cose inanimate. Un giorno Bellissima si mise con un balzo davanti al ragazzo. "Stai ferma" disse lui "così sarai bella e comparirai nei miei disegni!" Bellissima però non voleva stare ferma, così venne legata; le vennero legate la coda e la testa; quella ringhiò e si mise a saltare, la corda fu tirata di più e in quel momento entrò \aSignora .
"Sacrilego! povera bestia!" disse soltanto al ragazzo, poi lo spinse, gli diede un calcio e lo cacciò di casa, quell'ingrato mascalzone, quello scellerato! E piangendo baciò la sua piccola Bellissima mezza strangolata.
Il pittore stava salendo la scala in quel momento e... questo determinò una svolta nella storia.
Nel 1834 ci fu una mostra nell'Accademia delle arridi Firenze; due quadri, posti uno di fianco all'altro, attiravano molti visitatori. Sul quadro più piccolo era raffigurato un ragazzetto che stava disegnando; come modello aveva un cagnetto bianco e rasato per bene, ma l'animale non voleva star fermo e così gli erano state legate con una corda sia la testa che la coda. C'era vita in quell'immagine e una autenticità che piaceva a tutti. Si raccontava che il pittore fosse un giovane fiorentino che era stato raccolto dalla strada, era stato cresciuto da un vecchio guantaio e aveva imparato a disegnare da solo. Poi un pittore ora famoso aveva scoperto il suo talento quando il ragazzo era stato cacciato da casa perché aveva legato quel cagnolino, il prediletto della padrona, per prenderlo come modello.
L'apprendista guantaio era diventato un grande pittore, come rivelava quel quadro, e ancora di più il quadro più grande che stava lì di fianco. C'era un'unica figura: un bel ragazzo vestito di stracci, che dormiva per la strada, sdraiato sul porcellino di bronzo che si trova nella stradaPorto rossa . Tutti i visitatori conoscevano quel luogo. Le braccine del ragazzo erano strette alla testa del porcellino,2il piccolo dormiva un sonno profondo e la lampada dell'immagine della Madonna illuminava con una luce intensa il volto pallido ma meraviglioso di quel bambino.
Era proprio un quadro splendido; una grossa cornice dorata lo circondava e a un angolo della cornice era appesa una corona d'alloro, ma tra le foglie verdi era stato intrecciato un nastro nero da cui pendeva un lungo velo da lutto.
Quel giovane artista, in quei giorni, era morto!
Chiunque, quando arriva a Firenze, è in grado di trovare quel luogo; basta che chieda del porcellino di bronzo al primo mendicante che incontra, e lo troverà di sicuro.
Era una tarda sera d'inverno, le montagne erano coperte di neve, ma c'era il chiaro di luna e il chiaro di luna in Italia dà un chiarore che è come quello di un buio giorno invernale al nord anzi è meglio, perché l'aria stessa brilla, l'aria dà sollievo, mentre al nord il freddo cielo plumbeo preme contro la terra, la gelida e umida terra che un giorno premerà sulle nostre bare.
Nel giardino del castello granducale, ai piedi dei pini, dove migliaia di rose fiorivano nel periodo invernale, era rimasto per tutto il giorno un ragazzetto vestito di stracci, un ragazzetto che poteva rappresentare l'Italia, così bello, così sorridente, eppure così sofferente. Aveva fame e sete, nessuno gli diede un soldo, e quando venne buio e il giardino dovette essere chiuso, il custode lo cacciò via. Così rimase a lungo sul ponte che passava sul fiume Arno a sognare, a guardare le stelle scintillanti nell'acqua.
Si avviò verso il porcellino di bronzo, si chinò in avanti e gli gettò le braccia intorno al collo; poi mise la bocca vicino al grugno splendente e bevve a grandi sorsate quella fresca acqua. Lì vicino si trovavano alcune foglie di insalata e qualche castagna: quella fu la sua cena.
Non c'era un'anima per strada; era tutto solo, così montò sul dorso del porcellino di bronzo, si allungò in avanti in modo che la testolina ricciuta riposasse su quella dell'animale, e prima ancora di accorgersene, si addormentò.
A mezzanotte il porcellino si mosse, il ragazzo sentì che gli diceva con chiarezza: "Ragazzino, tieniti forte, adesso partiamo!", e difatti partì col ragazzo; fu proprio una strana cavalcata!
Innanzitutto giunsero mPiazza del granduca; lì il cavallo di bronzo su cui stava la statua del duca nitrì forte, le armi variopinte del vecchio municipio brillarono come immagini trasparenti e il David di Michelangelo ruotava la sua fionda. I gruppi di bronzo con Perseo e col Ratto delle Sabine erano fin troppo vivaci; un grido di morte si innalzò da loro e risuonò su tutta quella meravigliosa piazza deserta.
Vicino dXPalazzo degli Uffizi, nella loggia dove la nobiltà si raduna a festeggiare il carnevale, il porcellino di bronzo si fermò.
"Tieniti forte!" esclamò l'animale. "Tieniti forte perché adesso saliamo le scale!" Il piccolo non diceva neppure una parola: era terrorizzato, ma altrettanto divertito.
Entrarono in una lunga galleria, il ragazzo la conosceva bene perché c'era già stato; le pareti sfoggiavano affreschi, c'erano statue e busti, tutti immersi in una luce bellissima come fosse stato giorno; ma la cosa più bella fu quando la porta di una sala laterale si aprì: sì, il piccolo ricordava quella magnificenza, eppure in quella notte tutto brillava del massimo splendore.
Qui si trovava una graziosa donna nuda, bella come solo la natura e un grande maestro del marmo sono in grado di modellare; muoveva le sue deliziose membra, i delfìni saltavano ai suoi piedi, l'immortalità brillava dai suoi occhi. Il mondo la chiama la Venere medicea. Attorno a lei splendevano statue di marmo, uomini bellissimi; uno di loro affilava la spada e era chiamato il molatore, gladiatori irrompenti formavano un altro gruppo; la spada veniva affilata e le lotte scoppiavano per la dea della bellezza.
Il ragazzo fu come accecato da tutto quello splendore, le pareti rilucevano di mille colori, tutto lì aveva vita e movimento. L'immagine di Venere si sdoppiò e apparve la Venere terrestre, turgida e ardente come l'aveva vista Tiziano. Le immagini di due bellissime donne, le splendide membra senza veli, si allungavano sui morbidi cuscini, il petto si sollevava e la testa si muoveva così che i folti riccioli ricadevano sulle spalle ben tornite, mentre gli occhi scuri esprimevano pensieri ardenti; ma nessuna di quelle immagini osava uscire completamente dalla cornice. Persino la dea della bellezza, i gladiatori e il molatore restarono ai loro posti, perché la gloria che si irraggiava dalla Madonna, da Gesù e da San Giovanni li costringeva all'immobilità. Le immagini sante non erano ormai più immagini, erano diventate i santi in persona.
Che splendore e che bellezza da una sala all'altra! Il ragazzetto le visitò tutte, e anche il porcellino di bronzo camminò passo passo, in mezzo a tutta quella magnificenza e a quella meraviglia.
Una visione scacciava l'altra, solo un'immagine si fissò nella mente, soprattutto per quei gioiosi e felici bambini che vi erano rappresentati e a cui il piccolo aveva già fatto cenno, una volta di giorno.
Molti passano davanti a quest'immagine con leggerezza eppure essa contiene in sé un tesoro di poesia: Cristo discende negli Inferi, ma non si vedono i dannati intorno a lui, bensì i pagani. Il fiorentino Angiolo Bronzino è l'autore di questo affresco; la cosa più grandiosa è l'espressione di certezza che c'è nei bambini che saliranno in cielo; due piccoli si abbracciano, uno tende la mano verso un altro più in basso e indica se stesso, come per dire: "Io salirò in cielo!."
Tutti gli adulti stanno lì, dubbiosi e pieni di speranza oppure si inchinano umilmente davanti al Signore Gesù, implorando.
Il ragazzo osservò quell'immagine più a lungo delle altre, il porcellino di bronzo vi rimase fermo davanti, si sentì un fievole sospiro; proveniva dall'affresco o dal petto dell'animale? Il ragazzo sollevò la mano verso quei bambini sorridenti, allora l'animale ripartì con lui e attraversò l'ampio ingresso aperto.
"Grazie! Tu sia benedetto, caro animale!" esclamò il ragazzo accarezzando il porcellino che bum! bum! scendeva le scale di corsa con lui.
"Grazie a te! E che tu sia benedetto!" replicò il porcellino di bronzo. "Io ti ho aiutato e tu hai aiutato me, perché solo con un ragazzo innocente sul dorso ho la forza di muovermi! Vedi, oso persino passare sotto le luci dell'immagine della Madonna. Ti posso portare dappertutto, ma non in chiesa! Ma se tu sei con me, sono in grado di guardare dentro attraverso la finestra aperta, stando all'ingresso. Non scendere; se lo fai, resterò qui morto, come mi vedi di giorno nella stradinaPorto rossa!"
"Resterò con te, animale benedetto!" rispose il piccolo, e ripartirono a tutta velocità per le strade di Firenze, fino alla piazza che si trova davanti alla chiesa di Santa Croce.
La grande porta a due battenti si spalancò di colpo, le luci si irraggiavano dall'altare, e, attraversando la chiesa, uscivano sulla piazza deserta.
Una strana luce proveniva da un monumento nella navata laterale sinistra e migliaia di stelle in movimento formavano una specie di aureola. Un'insegna dominava su quella tomba, una scala rossa su fondo blu, che sembrava infuocata. Era la tomba di Galilei, un monumento molto semplice, ma la scala rossa su fondo blu è un'insegna piena di significato, è come l'insegna stessa dell'arte, perché la strada verso il cielo è rappresentata sempre da una scala infuocata. Tutti i profeti dello spirito salgono al cielo come il profeta Elia.
Nella navata di destra della chiesa ogni figura dei ricchi sarcofaghi sembrava avesse preso vita. Qui c'era Michelangelo, Dante con la corona di alloro intorno alla fronte, Alfieri, Machiavelli, uno di fianco all'altro riposano qui quei grandi uomini, l'orgoglio dell'Italia.lÈ una chiesa magnifica, molto bella, e forse grande come il Duomo di marmo di Firenze.
Sembrava che i vestiti di marmo si muovessero e che quelle grandi figure sollevassero la testa e guardassero in quella notte piena di canti e di musica verso l'altare variopinto e illuminato dove ragazzi vestiti di bianco facevano dondolare gli incensieri dorati; il forte odore si diffondeva dalla chiesa fino alla piazza.
Il ragazzo tese la mano verso quel bagliore e in quel momento il porcellino ripartì; lui dovette tenersi ben forte, il vento gli soffiava nelle orecchie e poi sentì che il portone della chiesa, chiudendosi, cigolava sui cardini, ma in quello stesso istante gli sembrò di perdere conoscenza, sentì un freddo intenso e spalancò gli occhi.
Era mattina e lui era quasi scivolato giù dal porcellino, immobile nella stradaPorto rossa , dove era solito stare.
Il ragazzo fu colto da paura e terrore al pensiero di colei che chiamava mamma e che lo aveva mandato fuori il giorno prima raccomandandogli di procurarsi del denaro; lui non ne aveva, ma aveva fame e sete. Si strinse ancora una volta attorno al collo del porcellino, gli baciò il grugno, gli fece cenno col capo e poi si incamminò per una stradina tortuosa, larga appena per un asino con un carico disposto accortamente. Una grossa porta ferrata stava socchiusa, da lì lui salì per una scala in muratura con le pareti sporchissime e una corda liscia che fungeva da ringhiera; giunse in un cortile, dove dal pozzo fino ai vari piani della casa erano stati tirati fili di ferro dai quali pendevano i secchi, uno vicino all'altro; quando la carrucola strideva, un secchio si metteva a ballare nell'aria facendo schizzare l'acqua in cortile. Da lì si proseguiva per un'altra scala cadente, fatta di mattoni; due marinai russi la scendevano contenti e spinsero quasi a terra il povero ragazzo. Venivano dai loro bagordi notturni. Li seguiva una donna non più giovane, ma molto robusta, con folti capelli neri. "Cos'hai portato a casa?" chiese al ragazzo. "Non arrabbiarti!" la implorò lui. "Non ho niente, proprio niente!" e afferrò il vestito della madre come se volesse baciarlo; entrarono in camera; non vogliamo descriverla, bisogna solo dire che c'era uno scaldino di porcellana pieno di brace che si chìamamarito e che lei si mise sul braccio per scaldarsi le dita; poi diede una gomitata al ragazzo dicendo: "Certo che li hai i soldi!".
Il bambino si mise a piangere, lei lo spinse col piede e lui si lamentò a voce alta. "Taci, altrimenti ti rompo quella testa urlante!" gridò lei agitando lo scaldino che teneva in mano; il ragazzo si accovacciò a terra con un grido. In quel mentre entrò la vicina di casa, anche lei con il suomarito sul braccio. "Felicita! Cosa stai facendo al bambino?" "Il bambino è mio!" rispose Felicita. "Posso anche ucciderlo, se voglio, e te con lui, Giannina!" e lanciò il suo scaldino. L'altra sollevò il suo per ripararsi e così questi si urtarono; i cocci, il fuoco e la cenere si sparsero nella stanza, ma il ragazzo in quello stesso momento era già fuori dalla porta, di là del cortile, fuori da quella casa. Quel povero bambino continuò a correre finché non ebbe più fiato; si fermò vicino alla chiesa di Santa Croce, la chiesa che si era aperta davanti a lui la notte prima, e entrò. Tutto brillava; si inginocchiò davanti alla prima tomba sulla destra, quella di Michelangelo, e si mise a singhiozzare forte. La gente andava e veniva, fu detta la Messa, ma nessuno si preoccupò di quel ragazzo, solo un vecchietto si fermò, lo osservò e poi se ne andò come gli altri.
Fame e sete tormentarono il piccolo; era debole e malaticcio si riparò nell'angolo tra la parete e il monumento di marmo e lì si addormentò. Verso sera venne svegliato da qualcuno che lo scuoteva, si alzò e trovò davanti a sé lo stesso vecchio di prima.
"Sei malato? Dove abiti? Sei stato qui tutto il giorno?" queste furono alcune delle domande che il vecchio gli rivolse lui rispose e il vecchio lo portò in una casetta che si trovava lì vicino, in una strada laterale. Era un laboratorio di guantaio, la moglie stava ancora cucendo di gran lena quando entrarono, un barboncino bianco saltellò sul tavolo e balzò davanti al ragazzo: era rasato al punto che si vedeva la pelle rosa chiaro.
"Le anime innocenti si riconoscono tra loro!" esclamò la donna accarezzando sia il cagnette che il bambino. Quest'ultimo ebbe da quelle brave persone qualcosa da mangiare e da bere, poi gli dissero che poteva trascorrere la notte lì; il giorno dopo papà Giuseppe avrebbe parlato con sua madre. Gli diedero un misero lettino, ma per lui era bello come quello di un re poiché spesso era costretto a dormire sul duro pavimento di pietra; dormì benissimo e sognò quelle belle immagini e il porcellino di bronzo.
Il mattino dopo papà Giuseppe uscì, il povero bambino non era molto felice, perché sapeva che quell'uscita aveva lo scopo di riportarlo a sua madre, così si mise a piangere e baciò il cagnolino; la donna rivolse a entrambi un cenno di approvazione.
Che notizie portò papà Giuseppe! Parlò a lungo con sua moglie, poi lei chiamò a sé il ragazzo e lo accarezzò. "E un bravo bambino" disse "può diventare un bravo guantaio proprio com'eri tu! E ha dita sottili e molto flessibili. La Madonna ha certo stabilito che diventasse guantaio!"
Il ragazzo rimase in quella casa e la donna gli insegnò a cucire; lui mangiava bene, dormiva bene, divenne allegro e cominciò a stuzzicare Bellissima: così si chiamava il cane. La donna allora lo minacciava col dito, urlava e si infuriava, così il ragazzo si acquetava e si metteva pensieroso nella sua cameretta, che guardava verso la strada e dove veniva lasciata asciugare la pelle. Davanti alla finestra c'erano grosse sbarre di ferro; il ragazzo non riusciva a dormire, pensava continuamente al porcellino di bronzo, e improvvisamente udì dalla strada: "Kladsk! Kladsk!"; sì, era certo lui! Balzò alla finestra, ma non si vedeva nessuno.
"Aiuta il signore a portare la cassetta dei colori" disse la donna il mattino dopo al ragazzo, quando il loro giovane vicino, il pittore, arrivò arrancando con la cassetta e con una tela enorme arrotolata; il ragazzo prese la cassetta e seguì il pittore; si diressero verso la galleria, salirono la stessa scala che lui conosceva bene da quella notte in cui aveva cavalcato il porcellino; conosceva già le statue e gli affreschi, quella bella Venere di marmo e coloro che rivivevano nei loro colori, e rivide la madre di Dio, Gesù e Giovanni.
Poi si fermarono davanti all'affresco del Bronzino, dove Cristo scende negli Inferi e i bambini intorno a lui sorridono per la dolce convinzione di andare in cielo, anche il povero ragazzo sorrise, perché lui lì si trovava nel suo cielo.
"Bene, va' a casa adesso!" gli disse il pittore; il ragazzo era stato fermo così a lungo che l'altro aveva già montato il cavalletto.
"Posso guardare mentre dipinge?" chiese il ragazzo. "Posso vedere come fa a ottenere l'immagine su questa tela bianca?"
"Adesso non dipingo" rispose l'uomo prendendo il carboncino, poi la mano si mosse, rapida, l'occhio misurò l'immagine; e, nonostante ci fosse una sola riga sottile Cristo stava già lì fluttuante, proprio come sull'affresco a colori.
"Adesso vai!" disse il pittore, così il ragazzo si avviò pian piano verso casa, poi sedette al tavolo e... imparò a cucire guanti.
Ma per tutto il giorno il pensiero tornò alla sala degli affreschi, e proprio per questo si punse le dita e si comportò in modo maldestro, ma non stuzzicò Bellissima. Quando venne sera e il portone sulla strada si trovò aperto, il ragazzo sgusciò fuori casa; faceva freddo ma c'erano le stelle, belle e chiare; lui camminò per le strade ormai deserte e si trovò davanti al porcellino di bronzo; gli si chinò sopra e gli baciò il grugno lucido, poi gli sedette sul dorso e disse: "Benedetto animale, che nostalgia ho avuto di te! Questa notte dobbiamo fare una cavalcata!" .
Ma il porcellino rimase immobile e la fresca fonte zampillava dalla sua bocca. Il piccolo sedette come fosse stato un cavaliere, ma qualcuno lo tirò per i vestiti; guardò di lato e vide la piccola e ben rasata Bellissima. Il cane era uscito di casa con lui e lo aveva seguito senza che lui se ne fosse accorto. Bellissima guaì, sembrava volesse dire: "Vedi che sono qui con te? perché stai qui seduto?." Neppure un drago infuocato avrebbe spaventato il ragazzo più di quel cagnolino in quel posto. Bellissima stava per la strada senza essere vestita, come diceva la vecchia mamma; chissà cosa sarebbe successo! Il cane non usciva mai d'inverno senza indossare una pelle di pecora tagliata e cucita appositamente per lei. Quella pelle le veniva legata intorno al collo con un nastro rosso, cui era attaccato un fiocco con un sonaglio, e allo stesso modo veniva legata sotto la pancia. Il cane sembrava allora un capretto che avesse il permesso, d'inverno e vestito a quel modo, di trotterellare con \aSignora . E ora Bellissima era lì con lui e non era vestita; cosa sarebbe successo? Tutte le fantasie erano ormai svanite; il ragazzo diede un bacio al porcellino di bronzo, prese in braccio Bellissima, che tremava dal freddo, e si mise a correre più forte che potè.
"Con cosa stai scappando?" gli gridarono due gendarmi che incontrò per strada, e Bellissima si mise a abbaiare. "Dove hai rubato questo grazioso cagnolino?" chiesero, prendendoglielo.
"Ridatemelo!" implorò il ragazzo.
"Se non l'hai rubato, allora di' a casa che il cane può essere ritirato al comando di polizia." Gli diedero l'indirizzo e se ne andarono con Bellissima.
Era disperato. Non sapeva se buttarsi nell'Arno o andare a casa e affrontare la realtà. Lo avrebbero certo ammazzato di botte, pensò tra sé, "ma mi piacerebbe essere ammazzato, così morirei e andrei da Gesù e dalla Madonna!" e così andò a casa proprio per venire ammazzato di botte.
La porta era chiusa e lui non arrivava al battiferro non c'era nessuno per strada, ma trovò una pietra e con quella picchiò sulla porta. "Chi è?" gridarono dalla casa.
"Sono io!" disse il ragazzo. "Bellissima è sparita! Apritemi e picchiatemi a morte!"
Soprattutto {^Signora provò uno spavento terribile al pensiero della povera Bellissima; subito volse lo sguardo verso la parete dove stava appeso l'abito del cane; la pelle di pecora era lì.
"Bellissima alla polizia?" gridò a voce alta. "Ragazzaccio! Come hai fatto a portarla fuori? Morirà di freddo! Quella delicata bestiola in mano ai rozzi soldati!"
Il padre dovette partire subito. La donna si lamentava e il ragazzo piangeva, tutti gli inquilini si radunarono, compreso il pittore; questi si mise il ragazzo sulle ginocchia e gli fece delle domande; un frammento alla volta, venne a conoscenza di tutta la storia del porcellino di bronzo e della galleria, certo, non era facile da capire, ma il pittore consolò il ragazzo, e parlò, parlò alla vecchia che però non fu contenta fin quando il marito non ritornò con Bellissima, che era stata coi soldati. Fu una grande gioia; il pittore accarezzò il ragazzo e gli diede un piccolo fascio di fogli.
Che disegni meravigliosi, che teste divertenti! ma, più bello di tutti, c'era il porcellino di bronzo, e sembrava lì in carne e ossa. Nulla poteva essere più splendido! Si trovava sulla carta, fatto con pochi tratti, e dietro c'era abbozzata anche la casa.
"Che bello saper disegnare e dipingere! Si può riprodurre tutto il mondo!"
Il giorno dopo, non appena ebbe un momento libero, il ragazzo prese una matita e sul lato bianco di uno dei fogli cercò di copiare il disegno del porcellino di bronzo. Ci riuscì! Era un po' obliquo, un po' storto, con una zampa grossa e un'altra sottile, ma si capiva bene che cos'era! Così il ragazzo si rallegrò moltissimo con se stesso. La matita non voleva andare proprio dove doveva; ma il giorno successivo c'era disegnato di fianco un altro porcellino, e era cento volte più bello, il terzo poi fu così ben fatto che chiunque potè riconoscerlo.
La cucitura dei guanti però lasciava a desiderare e le commissioni in città venivano compiute con lentezza; questo perché il porcellino di bronzo aveva insegnato al ragazzo che Firenze era come un libro di illustrazioni, se lo si voleva sfogliare. InPiazza della Trinità c'era una sottile colonna che reggeva la dea della giustizia con gli occhi bendati e la bilancia; subito la si ritrovò sulla carta, e era stato il ragazzetto a disegnarla. La raccolta di disegni aumentò, ma comprendeva solo cose inanimate. Un giorno Bellissima si mise con un balzo davanti al ragazzo. "Stai ferma" disse lui "così sarai bella e comparirai nei miei disegni!" Bellissima però non voleva stare ferma, così venne legata; le vennero legate la coda e la testa; quella ringhiò e si mise a saltare, la corda fu tirata di più e in quel momento entrò \aSignora .
"Sacrilego! povera bestia!" disse soltanto al ragazzo, poi lo spinse, gli diede un calcio e lo cacciò di casa, quell'ingrato mascalzone, quello scellerato! E piangendo baciò la sua piccola Bellissima mezza strangolata.
Il pittore stava salendo la scala in quel momento e... questo determinò una svolta nella storia.
Nel 1834 ci fu una mostra nell'Accademia delle arridi Firenze; due quadri, posti uno di fianco all'altro, attiravano molti visitatori. Sul quadro più piccolo era raffigurato un ragazzetto che stava disegnando; come modello aveva un cagnetto bianco e rasato per bene, ma l'animale non voleva star fermo e così gli erano state legate con una corda sia la testa che la coda. C'era vita in quell'immagine e una autenticità che piaceva a tutti. Si raccontava che il pittore fosse un giovane fiorentino che era stato raccolto dalla strada, era stato cresciuto da un vecchio guantaio e aveva imparato a disegnare da solo. Poi un pittore ora famoso aveva scoperto il suo talento quando il ragazzo era stato cacciato da casa perché aveva legato quel cagnolino, il prediletto della padrona, per prenderlo come modello.
L'apprendista guantaio era diventato un grande pittore, come rivelava quel quadro, e ancora di più il quadro più grande che stava lì di fianco. C'era un'unica figura: un bel ragazzo vestito di stracci, che dormiva per la strada, sdraiato sul porcellino di bronzo che si trova nella stradaPorto rossa . Tutti i visitatori conoscevano quel luogo. Le braccine del ragazzo erano strette alla testa del porcellino,2il piccolo dormiva un sonno profondo e la lampada dell'immagine della Madonna illuminava con una luce intensa il volto pallido ma meraviglioso di quel bambino.
Era proprio un quadro splendido; una grossa cornice dorata lo circondava e a un angolo della cornice era appesa una corona d'alloro, ma tra le foglie verdi era stato intrecciato un nastro nero da cui pendeva un lungo velo da lutto.
Quel giovane artista, in quei giorni, era morto!
In de stad Florence, niet ver van de Piazza del Granduca, is een kleine dwarsstraat, ik geloof dat zij Porta Rossa genoemd wordt; in dat straatje, vóór een soort bazaar waar groente verkocht wordt, ligt een kunstig, uitstekend gemodelleerd bronzen varken. Het frisse, heldere water stroomt uit de bek van het dier, dat van ouderdom helemaal donkergroen is geworden. Alleen zijn snuit blinkt alsof hij blank gepolijst was en dat is hij ook door de vele honderden kinderen en de bedelaars, die hem met hun handen beetpakken en hun mond aan de bek van het dier zetten om te drinken. Het is een aantrekkelijk tafereel, het welgevormde dier omarmd te zien door zo'n mooie, halfnaakte dreumes die zijn frisse mond aan die snuit zet.
Ieder die Florence bezoekt vindt de plek gemakkelijk. Hij behoeft maar aan de eerste de beste bedelaar die hij ziet te vragen naar het bronzen varken en hij zal het vinden.
Het was laat op een winteravond, de bergen lagen met sneeuw bedekt, maar de maan scheen helder: maneschijn in Italië geeft een belichting die net zo goed is als een donkere winterdag in het noorden, ja, die nog beter is want de lucht straalt, de lucht werkt verheffend, terwijl in het noorden dat koude, grauwe loden dak ons tegen de koude, vochtige aarde drukt, die eens onze kist zal drukken.
In de slottuin van de hertog, onder het pijnboomdak waar in de winter duizenden rozen bloeien, had een verslonst ventje de hele dag gezeten, een kereltje dat men een beeld van Italië zelf zou kunnen noemen, zo mooi, zo lachend en toch ook zo zielig; hij was hongerig en dorstig. Niemand gaf hem een cent en toen het donker werd en de tuin gesloten moest worden, joeg de portier hem weg. Lang stond hij daar te dromen op de brug over de Arno en hij keek naar de sterren, die flonkerden in het water tussen hem en de prachtige marmeren brug, Della Trinita.
Hij sloeg de weg in die naar het bronzen varken voerde, knielde neer, sloeg zijn armen om de nek van het dier, hij zette zijn kleine mond aan de blinkende snuit van het beest en dronk met grote teugen het frisse water. Vlakbij lagen enkele slabladeren en een paar kastanjes, waarmee hij zijn avondmaal deed. Er was geen mens op straat, hij was helemaal alleen; hij ging op de rug van het bronzen varken zitten, leunde voorover, zodat zijn krullebol op de kop van het dier rustte, en vóór hij het zelf wist was hij ingeslapen.
Het was middernacht, het bronzen varken kwam in beweging; hij hoorde dat het duidelijk zei: "Ventje, houd je nu goed vast, want ik ga lopen!" En toen liep het met hem weg, dat was een grappige rit. Eerst kwamen ze op de Piazza del Granditca, waar het bronzen paard, dat het beeld van de hertog droeg, luid hinnikte; de bonte wapens op het oude stadhuis schenen als transparanten, en Michel Angelo's David zwaaide zijn slinger: het was een wonderlijk leven dat zich daar roerde. De bronzen groepen van Perseus en van de Sabijnse maagdenroof stonden daar al te levend; hun doodskreten klonken over het prachtige, eenzame plein.
Bij Palazzo deglï Uffizi, in de galerij waar de adel in de vastentijd bijeenkwam om carnaval te vieren, bleef het bronzen varken staan.
"Houd je goed vast," zei het dier, "houd je goed vast, want nu gaat het de trap op naar boven!" Het kleintje zei nog steeds geen woord, hij beefde en tegelijk vond hij het toch ook weer heerlijk.
Ze traden binnen in een lange galerij. Hij kende die goed, hij was er meer geweest; de wanden waren versierd met prachtige schilderijen, er stonden bustes en standbeelden, allemaal zo prachtig belicht alsof het dag was, maar het mooiste was het toen de deur naar een van de zijkamers openging, ja, die heerlijkheid kon het ventje zich best herinneren, maar in deze nacht was alles op zijn mooist.
Hier stond een schone, naakte vrouw, zó mooi als slechts de natuur en de grootste meester van het marmer konden vormen; zij bewoog haar schone ledematen, dolfijnen spartelden aan haar voeten, de onsterfelijkheid straalde haar uit de ogen. De wereld noemde haar de Venus van Medici. Aan elke kant van haar prijkten marmeren beelden, meer geest dan steen: het waren mooie, naakte mannen, de een scherpte zijn zwaard, de slijper werd hij genoemd; worstelende gladiatoren maakten de tweede groep uit; het zwaard werd gescherpt, de strijders worstelden ter ere van de godin der schoonheid.
De jongen was als verblind door al die pracht; de wanden straalden in heerlijke kleuren en alles was leven en beweging; verdubbeld openbaarde zich het beeld van Venus, van de aardse Venus, zo weelderig en vurig als Titiaan haar aan zijn borst had gedrukt. Het was wonderlijk mooi. Twee schone vrouwen waren het; hun mooie, ongesluierde leden strekten zij op zachte kussens uit, hun borst ademde en hun hoofd bewoog, zodat de rijke lokken over de ronde schouders vielen, terwijl hun donkere ogen het gloeiende verlangen van hun bloed verrieden; maar geen van alle beelden of schilderijen waagde het van zijn plaats te komen of uit zijn omlijsting te treden. De godin van de schoonheid, de gladiatoren en de slijper bleven waar ze waren, want het aureool - dat van de Madonna, van Jezus en van Johannes uitstraalde - bond ze. De heilige voorstellingen waren geen afbeeldingen meer, het waren de heiligen zelf.
Wat een pracht en wat een schoonheid, zaal op zaal, het ventje zag alles: het bronzen varken liep namelijk rustig langs al die heerlijkheid. Het ene tafereel verdrong het andere; alleen één schilderij bleef goed in zijn herinnering bewaard, vooral door de vrolijke gelukkige kinderen die erop afgebeeld waren. Het ventje had hen eens bij daglicht toegeknikt.
Velen lopen dit schilderij zeker gemakkelijk voorbij en toch bevat het een schat van poëzie: het stelt Christus voor die afdaalt in de onderwereld, maar het zijn niet de gepijnigden die men om hem heen ziet, nee, het zijn de heidenen. De Florentijn Angiolo Bronzino heeft dit schilderij gemaakt; het schoonst is de uitdrukking van zekerheid van de kinderen dat ze naar de hemel gaan; twee kleintjes omhelzen elkaar reeds, een kind reikt een tweede beneden zich de hand en wijst op zichzelf, alsof het zeggen wilde: "Ik ga hemelwaarts." Alle ouderen staan onzeker, vol verwachting, of buigen zich ootmoedig biddend voor de Here Jezus. Naar dit schilderij keek de jongen langer dan naar de andere; het bronzen varken hield er een ogenblik voor stil. Men hoorde een zachte zucht: kwam die van het schilderij of uit de borst van het dier? De jongen wuifde met de hand naar de glimlachende kinderen - en toen vloog het dier met hem weg, weg door de open voorhal.
"Mijn dank en Gods zegen, jij lief beest," zei het ventje en hij liefkoosde het bronzen varken dat boem, boem! de trap met hem naar beneden sprong.
"Nee, ik moet dankbaar zijn en je Gods zegen toewensen," zei het bronzen varken, "ik heb jou geholpen maar jij hebt ook mij geholpen, want alleen met een onschuldig kind op de rug krijg ik kracht om te lopen. Kijk, dan durf ik zelfs onder het schijnsel van de lamp voor het Madonnabeeld door. Ik kan je overal heen dragen, maar niet in de kerk! Maar als jij bij mij bent kan ik buiten door de open deur naar binnen zien. Maar stijg dan niet af; als je dat doet val ik dood neer, zoals je mij overdag ziet liggen in Porta Rossa!"
"Ik blijf bij je, mijn lief beest" zei het ventje, en toen ging bet in razende vaart door de straten van Florence tot aan het plein voor de kerk Santa Croce,
De grote vleugeldeuren sprongen open. De kaarsen straalden van het altaar door de kerk naar buiten, op het verlaten plein. Een wonderlijke glans straalde uit een grafmonument in de linkerzijbeuk, duizenden dwarrelende sterren vormden er als het ware een aureool omheen. Een wapenteken sierde het graf, een rode ladder op een blauw veld, die scheen te gloeien als vuur. Dat was het graf van Galileï, het is een eenvoudig gedenkteken, maar de rode ladder op het blauwe veld is een gewichtig wapenteken, het is als het ware het wapen van de kunst zelf, haar weg leidt immers ook op een gloeiende ladder hemelwaarts. Alle profeten van de geest gaan hemelwaarts als de profeet Elia.
In de rechterzijbeuk scheen elk beeld op de kostbare sarcofagen leven te hebben gekregen. Daar stond Michel Angelo, daar Dante met een lauwerkrans om het hoofd, Alfieri, Machiavelli: naast elkaar rusten hier al deze grote mannen, de trots van Italië! Het is een prachtige kerk, heel wat mooier - al is ze dan niet zo groot - dan Florences marmeren kathedraal.
Het was alsof de marmeren kleren zich bewogen, alsof al die grote gestalten hun hoofd nog hoger hieven en in de nacht staarden, onder muziek en gezang, naar het bonte, stralende hoogaltaar waar in het wit geklede knapen hun gouden wierookvaten zwaaiden; de sterke geur verspreidde zich vanuit de kerk over het open plein.
De jongen strekte zijn hand uit naar de glans van de kaarsen en op hetzelfde ogenblik vloog het bronzen varken weg; hij moest zich stevig aan het dier vasthouden, de wind gierde hem om de oren. Hij hoorde hoe de deur knarste in de hengsels toen de kerk gesloten werd, maar op hetzelfde ogenblik verloor hij naar het hem toescheen zijn bewustzijn. Hij voelde een ijzige koude - en sloeg zijn ogen op.
Het was morgen, hij zat half op, half naast het bronzen varken, dat stond waar het altijd placht te staan, in de straat Porta Rossa.
Vrees en angst vervulden het ventje bij de gedachte aan haar die hij moeder noemde, die hem gisteren had weggestuurd en hem had gezegd dat hij aan geld moest zien te komen, maar hij had niets, hij was hongerig en dorstig. Nog eens omarmde hij het bronzen varken, kuste het op zijn snuit, knikte het toe en liep toen weg, in de richting van een van de alIer nauwste straatjes, nauwelijks breed genoeg voor een goedbepakte ezel. Een grote, met ijzer beslagen deur stond halfopen, hierdoor ging hij langs een gemetselde trap naar boven, met vuile muren en een glibberig touw als leuning. En toen kwam hij aan een open galerij met vodden behangen en van hier leidde een trap naar een open hof waar, van de put uit, grote ijzeren draden waren gespannen naar alle verdiepingen van het huis: de ene wateremmer zweefde naast de andere door de lucht, terwijl de katrol piepte en de emmer danste, zodat het water beneden op de grond spatte. Weer ging het omhoog langs een vervallen, gemetselde trap; twee matrozen, Russen waren het, sprongen vrolijk naar beneden en hadden bijna het arme kereltje ondersteboven gelopen. Ze kwamen van een nachtelijk bacchanaal.
Een niet jonge maar weelderige vrouwengestalte, met dik zwart haar, volgde hen. "Wat heb je meegebracht?" zei ze tot de jongen.
"Wees niet boos!" smeekte hij, "ik kreeg niets, helemaal niets!" - en hij pakte zijn moeders japon beet alsof hij die wilde kussen; ze gingen de kamer binnen - die willen we niet beschrijven! Dit alleen moet verteld worden dat er een bekken met houtskoolvuur, een zogenaamde marïto stond, dit nam ze aan haar arm, warmde haar vingers en gaf de jongen een stoot met de elleboog: "Je hebt wél geld meegebracht!"
Het kind huilde, zij trapte hem; hij jammerde luid. "Wil je je mond houden of ik sla je je jankende kop in!" en zij zwaaide het kolenbekken dat ze in de hand hield, en de jongen bukte met een gil. Toen trad een buurvrouw binnen en ook zij had haar marito aan de arm. "Felicita, wat voer je daar uit met het kind?"
"Het is mijn kind!" antwoordde Felicita, "ik kan het vermoorden als ik wil en jou erbij, Gianina!" En ze zwaaide haar kolenbekken; de ander hield het hare in de hoogte om af te weren en beide kolenbekkens sloegen tegen elkaar, zodat de scherven, het vuur en de as door het vertrek vlogen. Maar de jongen was op hetzelfde ogenblik de deur uit, over de hof naar buiten. Het arme ventje liep zo hard dat hij helemaal buiten adem raakte; hij bleef stilstaan voor de Santa Croce-kerk, de kerk die haar grote deur in de afgelopen nacht voor hem geopend had, en hij trad binnen. Alles straalde, hij knielde neer bij het eerste graf aan de rechterzijde, het was het graf van Michel Angelo, en spoedig snikte hij luid. Mensen kwamen en gingen, de mis werd gelezen, niemand nam notitie van de jongen; alleen een oudachtig mannetje bleef stilstaan, keek naar hem... en ging toen weg net als de anderen. Honger en dorst plaagden het ventje, hij was amechtig en ziek; hij kroop helemaal weg in het hoekje tussen de muur en het marmeren monument en viel in slaap. Tegen de avond werd hij weer wakker doordat iemand hem heen en weer schudde, hij stond snel op -- hetzelfde oude mannetje stond voor hem.
"Ben je ziek? Waar hoor je thuis? Ben je hier de hele dag geweest?" waren enkele van de vele vragen die de oude hem stelde; hij gaf antwoord, en de oude man nam hem met zich mee naar een klein huisje vlakbij, in een van de zijstraten; zij gingen binnen in een handschoenmakerswerkplaats, waar de vrouw ijverig zat te naaien toen ze binnenkwamen. Een kleine witte Bologneser, zo kaal geschoren dat men zijn roze huid kon zien, sprong van vreugde tegen het ventje op.
"De onschuldige zieltjes herkennen elkaar," zei de vrouw en ze streelde de hond en de jongen. Deze kreeg bij de goede mensen te eten en te drinken en ze zeiden dat hij daar gerust de nacht mocht doorbrengen; de volgende dag zou vader Giuseppe met zijn moeder gaan praten. Hij kreeg een klein armoedig bed, maar voor hem die dikwijls op de harde stenen vloer moest slapen was het vorstelijk; hij sliep zo heerlijk en hij droomde van de kostbare schilderijen en van het bronzen varken.
Vader Giuseppe ging de volgende morgen uit; het arme kind was daar niet zo blij om want het wist dat de bedoeling van dat uitgaan was hem naar zijn moeder terug te brengen, en hij huilde en kuste de kleine levendige hond, en de vrouw knikte hen beiden toe.
En wat voor antwoord bracht vader Giuseppe mee? Hij praatte druk met zijn vrouw en zij knikte en streelde de jongen. "Het is een beeldig kind," zei ze. "Wat een pracht van een handschoenmaker kan eruit hem groeien, net zo een als jij! En vingertjes heeft hij, zo teer en buigzaam! Madonna heeft hem voorbeschikt tot handschoenmaker!"
En de jongen bleef daar in huis en de vrouw leerde hem zelf naaien; hij kreeg goed te eten, hij sliep goed, hij werd vrolijk en begon Bellissima te plagen, zo heette het hondje; de vrouw dreigde hem met de vinger en gaf hem een standje en was boos.
De jongen trok zich dat erg aan, hij zat in gedachten in zijn kamertje; dit keek uit op de straat, binnen werden huiden gedroogd, dikke ijzeren staven waren voor de vensters; hij kon niet slapen, hij moest voortdurend aan het bronzen varken denken en plotseling hoorde hij buiten: klats, klats! daar was het zeker! Hij sprong naar het raam maar er was niets te zien, het was alweer voorbij.
"Help meneer toch eens zijn verfkist te dragen!" zei de vrouw 's morgens tot de jongen toen de jeugdige buurman, de schilder, er zelf mee kwam aanslepen en ook nog met een groot, opgerold stuk linnen, en het kind pakte de kist beet en volgde de schilder. Zij sloegen de weg in naar de galerij, gingen langs dezelfde trap naar boven die hij zo goed kende van de nacht toen hij op het bronzen varken uit rijden was geweest; hij herkende de beeldhouwwerken en de schilderijen, de heerlijke Venus van marmer en ook de beide die in kleuren leefden; hij zag Gods Moeder, Jezus en Johannes weer.
Nu stonden ze stil voor het schilderij van Bronzino, waar Christus in de onderwereld afdaalt en waar de kinderen om Hem heen in zoet vertrouwen op hun hemelse zaligheid glimlachen; het arme kind glimlachte ook want hier was hij in zijn hemel.
"Nu kun je weer naar huis gaan," zei de schilder tot hem toen hij daar zo lang gestaan had dat deze zijn ezel al had opgesteld.
"Mag ik ernaar kijken terwijl u schildert?" zei de jongen, "mag ik zien hoe u dat schilderij daar op dat witte doek krijgt?"
"Nu schilder ik niet," zei de man en hij haalde zijn zwarte krijt te voorschijn, snel bewoog zijn hand zich. Zijn oog mat het grote schilderij en ofschoon er maar een dunne streep kwam te staan, toch stond Christus daar net zo zwevend als op het echte schilderij.
"Maar ga nu toch!" zei de schilder, en de jongen wandelde stil naar huis terug, ging op de tafel zitten en leerde handschoenen naaien.
Maar de hele dag waren zijn gedachten bij de schilderijen en daarom prikte hij zich in zijn vingers, deed onhandig, maar plaagde dan ook Bellissima niet. Toen het avond werd en de straatdeur juist openstond sloop hij naar buiten; het was koud maar er was een heldere sterrenhemel, mooi en stralend, en hij zwierf door de straten waar het al stil was geworden en spoedig stond hij voor het bronzen varken. Hij boog zich over het dier, kuste zijn blinkende snuit en ging op zijn rug zitten. "Jij lief beest," zei hij, "wat heb ik naar je verlangd! Wij moeten vannacht weer uit rijden!" Het bronzen varken lag onbeweeglijk en het frisse water borrelde uit zijn bek. Het ventje zat ruiter te paard boven op het dier; daar trok hem iemand aan zijn kleren; hij keek opzij. Bellissima, de kleine, naakte, geschoren Bellissima was het.
De hond was mee het huis uitgeslopen en was de kleine gevolgd, zonder dat deze het merkte. Bellissima blafte alsof hij zeggen wilde: zie je dat ik ben meegegaan, waarom ga je hier zitten? Geen vurige draak kon de jongen meer schrik hebben aangejaagd dan dat hondje hier op deze plaats. Bellissima op straat en dat nog wel zonder aangekleed te zijn, zoals de oude moeder het noemde! Wat moest daarvan worden! De hond kwam 's winters nooit buiten zonder dat hij een lamsvelletje aan had, dat voor hem geknipt en genaaid was. Het vel kon met een rood bandje om de hals worden vastgebonden, er waren een strik en een belletje aan, en op dezelfde wijze werd het onder zijn buik vastgebonden. Het hondje zag er bijna uit als een hertje wanneer het in de winter in die kleding verlof kreeg om met de vrouw een ommetje te maken. Bellissima was hier bij hem en niet gekleed: wat moest daarvan worden? Alle fantasieën waren verdwenen, toch kuste de jongen het bronzen varken. Hij nam Bellissima op de arm - het diertje sidderde van de kou, daarom liep de jongen zo hard hij kon.
"Wat heb je daar?" riepen twee gendarmen die hij tegenkwam, en Bellissima blafte. "Waar heb je die mooie hond gestolen?" vroegen ze en namen hem het diertje af.
"Geef hem terug!" jammerde de jongen.
"Als je hem niet gestolen hebt, dan kun je thuis zeggen dat de hond op de wacht kan worden afgehaald!" En zij noemden de plaats en verdwenen met Bellissima.
Dat waren een ellende en een droefheid. Hij wist niet of hij in de Arno wilde springen of naar huis gaan en alles bekennen! Zij zouden hem vast doodslaan, dacht hij. "Maar ik wil graag doodgeslagen worden, ik wil sterven, dan kom ik bij Jezus en Madonna!" en hij ging huiswaarts, voornamelijk om doodgeslagen te worden.
De deur was gesloten, hij kon niet bij de klopper. Er was niemand op straat, maar een steen lag los en daarmee beukte hij op de deur.
"Wie is daar?" riepen ze binnen.
"Ik ben het!" zei hij, "Bellissima is weg! Doe open en sla me dood!"
Dat was een schrik, vooral voor de vrouw, om die arme Bellissima. Zij keek dadelijk naar de muur waar het dek van het hondje moest hangen, het lamsvelletje hing daar ook.
"Bellissima op de wacht!" riep ze luidskeels; "jij akelig kind, waar heb je hem mee naar toe genomen? Hij vriest dood! Dat tere diertje bij die ruwe soldaten!"
En nu moest vader dadelijk eropuit! De vrouw jammerde en de jongen huilde! Alle mensen liepen in huis samen, ook de schilder kwam erbij; hij nam de jongen tussen zijn knieën, vroeg hem uit en bij stukjes en beetjes kreeg hij de hele geschiedenis te horen, van het bronzen varken en van de galerij - helemaal goed te begrijpen was het niet, de schilder troostte het ventje, deed een goed woordje voor hem bij de oude, maar zij was toch niet tevreden vóór vader thuis was gekomen met Bellissima, die bij de soldaten geweest was. Dat was me een vreugde! De schilder streelde de arme jongen en gaf hem een handvol tekeningen.
O, dat waren prachtexemplaren, wonderlijke koppen, maar boven alles - daar was het bronzen varken zelf in levenden lijve! O, dat was het heerlijkste van alles! Met een paar strepen was het op papier neergezet en zelfs het huis erachter was aangeduid.
"Kon ik toch maar tekenen en schilderen! Dan kon ik de hele wereld veroveren!" De volgende dag op het eerste het beste ogenblik dat hij alleen was, greep het ventje een potlood en op de witte kant van een der tekeningen probeerde hij het bronzen varken na te tekenen, en het gelukte! Een beetje scheef, zijn ene poot te dik en zijn andere te dun, maar het was toch begrijpelijk, zelf was hij er erg blij mee! Het potlood wilde niet helemaal zoals hij wilde, merkte hij wel; maar de volgende dag stond er een tweede bronzen varken naast het eerste en dat was honderdmaal beter; en het derde was zo goed dat iedereen het onmiddellijk herkende.
Maar met de handschoennaaierij ging het slecht, met het boodschappen doen in de stad ging het langzaam, want het bronzen varken had hem geleerd dat alles, wat zich aan hem voordeed, ook op papier kon worden afgebeeld; en de stad Florence is één groot prentenboek wanneer men erin wil bladeren. Er staat op de Piazza della Trinita een slanke zuil, en daar bovenop staat de godin der rechtvaardigheid met geblinddoekte ogen en een weegschaal; dadelijk stond ze op het papier en het was het jongetje van de handschoenmaker die haar daar zo had neergezet. De verzameling tekeningen groeide, maar het waren allemaal nog dode dingen; toen huppelde eens op een dag Bellissima voor zijn voeten. "Sta stil!" zei hij, "dan zal ik iets moois van je maken en dan mag je ook in mijn tekenboek komen!" Maar Bellissima wilde niet stilstaan, toen moest hij vastgebonden worden: kop en staart werden vastgebonden, het dier blafte en maakte allerlei sprongen; het touw moest steviger worden vastgebonden - en toen kwam de vrouw erbij..
"Jij goddeloze jongen! Dat arme dier!" was alles wat zij uit kon brengen en ze duwde de jongen opzij, trapte hem en wees hem de deur; hem, die het ondankbaarste boefje, het meest goddeloze kind was! En huilend kuste zij haar kleine, halfgesmoorde Belltssima.
De schilder kwam op hetzelfde ogenblik de trap op en... dit is het keerpunt in de vertelling!
In het jaar 1834 was er in de Academia della Arte in Florence een tentoonstelling; twee schilderijen naast elkaar opgehangen trokken een grote schare toeschouwers. Op het kleinste schilderij was een vrolijk jongetje voorgesteld dat zat te tekenen; als model had hij een wit, erg kaalgeschoren hondje, maar het beestje wilde niet stilstaan en was daarom met een touwtje vastgebonden aan zijn kop en aan zijn staart; er was in dit stukje iets sterk levends en waars dat tot een ieder moest spreken. De schilder was, naar men vertelde, een jonge Florentijn die als kind op straat gevonden zou zijn en door een oude handschoenmaker zou zijn opgevoed; hij had zichzelf tekenen geleerd. Een nu beroemd schilder had dit talent ontdekt toen de jongen eens op een keer het huis uitgejaagd zou worden omdat hij het lievelingetje van de vrouw, dat hondje, had vastgebonden en tot model gemaakt.
De handschoenmakersjongen was een groot schilder geworden! Dat bewees dit schilderij, dat bewees in het bijzonder het grotere daarnaast: hier was maar één figuur op afgebeeld, een mooi, in lompen gekleed kereltje dat op straat zat te slapen; hij leunde tegen het bronzen varken in de straat Porta Rossa. Alle toeschouwers kenden de plaats. De armen van het kind rustten op de kop van het varken; het ventje sliep zo kalm, de lamp bij het Madonnabeeld wierp een sterk, effectvol licht op het schone, bleke gelaat van het kind. Het was een prachtig schilderij; een grote vergulde lijst omgaf het en om de hoek van de lijst was een lauwerkrans gehangen, maar tussen de groene bladeren door was een zwart lint gewonden, en daaraan hing een zwart rouwfloers.
De jonge kunstenaar was een dezer dagen - gestorven!