Era così bello in campagna, era estate! Il grano era bello giallo, l'avena era verde e il fieno era stato ammucchiato nei prati; la cicogna passeggiava sulle sue slanciate zampe rosa e parlava egiziano, perché aveva imparato quella lingua da sua madre. Intorno ai campi e al prati c'erano grandi boschi, e in mezzo al boschi si trovavano laghi profondi; era proprio bello in campagna! Esposto al sole si trovava un vecchio maniero circondato da profondi canali, e tra il muro e l'acqua crescevano grosse foglie di farfaraccio, e erano così alte che i bambini più piccoli potevano stare dritti all'ombra delle più grandi. Quel luogo era selvaggio come un profondo bosco; lì si trovava un'anatra col suo nido. Doveva covare gli anatroccoli, ma ormai era quasi stanca, sia perché ci voleva tanto tempo sia perché non riceveva quasi mai visite. Le altre anatre preferivano nuotare lungo i canali piuttosto che risalire la riva e sedersi sotto una foglia di farfaraccio a chiacchierare con lei.
Finalmente una dopo l'altra, le uova scricchiolarono. "Pip, pip" si sentì, tutti i tuorli delle uova erano diventati vivi e sporgevano fuori la testolina.
"Qua, qua!" disse l'anatra, e subito tutti schiamazzarono a più non posso, guardando da ogni parte sotto le verdi foglie; e la madre lasciò che guardassero, perché il verde fa bene agli occhi.
"Com'è grande il mondo!" esclamarono i piccoli, adesso infatti avevano molto più spazio di quando stavano nell'uovo.
"Credete forse che questo sia tutto il mondo?" chiese la madre. "Si stende molto lontano, oltre il giardino, fino al prato del pastore; ma fin là non sono mai stata. Ci siete tutti, vero?" e intanto si alzò. "No, non siete tutti. L'uovo più grande è ancora qui. Quanto ci vorrà? Ormai sono quasi stufa" e si rimise a covare.
"Allora, come va?" chiese una vecchia anatra giunta a farle visita.
"Ci vuole tanto tempo per quest'unico uovo!" rispose l'anatra che covava. "Non vuole rompersi. Ma dovresti vedere gli altri! Sono i più deliziosi anatroccoli che io abbia mai visto assomigliano tanto al loro padre, quel briccone, che non viene neppure a trovarmi."
"Fammi vedere l'uovo che non si vuole rompere!" disse la vecchia. "Può essere un uovo di tacchina! Anch'io sono stata ingannata una volta, e ho passato dei guai con i piccoli che avevano una paura incredibile dell'acqua. Non riuscii a farli uscire. Schiamazzai e beccai, ma non servì a nulla. Fammi vedere l'uovo. Sì, è un uovo di tacchina. Lascialo stare e insegna piuttosto a nuotare ai tuoi piccoli."
"Adesso lo covo ancora un po'; l'ho covato così a lungo che posso farlo ancora un po'!"
"Fai come vuoi!" commentò la vecchia anatra andandosene.
Finalmente quel grosso uovo si ruppe. "Pip, pip" esclamò il piccolo e uscì: era molto grande e brutto. L'anatra lo osservò.
"È un anatroccolo esageratamente grosso!" disse. "Nessuno degli altri è come lui! Purché non sia un piccolo di tacchina! Bene, lo scopriremo presto. Deve entrare in acqua, anche a costo di prenderlo a calci!"
Il giorno dopo era una giornata bellissima; il sole splendeva sulle verdi foglie di farfaraccio. Mamma anatra arrivò con tutta la famiglia al canale. Splash! si buttò in acqua; "qua, qua!" disse, e tutti i piccoli si tuffarono uno dopo l'altro. L'acqua coprì le loro testoline, ma subito tornarono a galla e galleggiarono beatamente; le zampe si muovevano da sole e c'erano proprio tutti, anche il piccolo brutto e grigio nuotava con loro.
"No, non è un tacchino!" esclamò l'anatra "guarda come muove bene le zampe, come si tiene ben dritto! È proprio mio! In fondo è anche carino se lo si guarda bene. Qua, qua! venite con me, vi condurrò nel mondo e vi presenterò agli altri abitanti del pollaio, ma state sempre vicino a me, che nessuno vi calpesti, e fate attenzione al gatto!"
Entrarono nel pollaio. C'era un chiasso terribile, perché due famiglie si contendevano una testa d'anguilla, che alla fine andò al gatto.
"Vedete come va il mondo!" disse la mamma anatra leccandosi il becco, dato che anche lei avrebbe voluto la testa d'anguilla. "Adesso muovete le zampe" aggiunse "provate a salutare e a inchinarvi a quella vecchia anatra. È la più distinta di tutte, è di origine spagnola, per questo è così pesante! Guardate, ha uno straccio rosso intorno a una zampa. È una cosa proprio straordinaria, la massima onorificenza che un'anatra possa ottenere. Significa che non la si vuole abbandonare, e che è rispettata sia dagli animali che dagli uomini. Muovetevi! Non tenete i piedi in dentro! Un anatroccolo ben educato tiene le gambe ben larghe, proprio come il babbo e la mamma. Ecco! Adesso chinate il collo e dite qua!"
E così fecero, ma le altre anatre lì intorno li guardarono e esclamarono: "Guardate! Adesso arriva la processione, come se non fossimo abbastanza, e, mamma mia com'è brutto quell'anatroccolo! Lui non lo vogliamo!" e subito un'anatra gli volò vicino e lo beccò alla nuca.
"Lasciatelo stare" gridò la madre "non ha fatto niente a nessuno!"
"Sì, ma è troppo grosso e strano!" rispose l'anatra che lo aveva beccato "e quindi ne prenderà un bel po'!"
"Che bei piccini ha mamma anatra!" disse la vecchia con lo straccetto intorno alla zampa "sono tutti belli, eccetto uno, che non è venuto bene. Sarebbe bello che lo potesse rifare!"
"Non è possibile, Vostra Grazia!" rispose mamma anatra "non è bello, ma è di animo molto buono e nuota bene come tutti gli altri, anzi un po' meglio. Credo che, crescendo, diventerà più bello e che col tempo sarà meno grosso. È rimasto troppo a lungo nell'uovo, per questo ha un corpo non del tutto normale". E intanto lo grattò col becco sulla nuca e gli lisciò le piume. "Comunque è un maschio" aggiunse "e quindi non è così importante. Credo che avrà molta forza e riuscirà a cavarsela!".
"Gli altri anatroccoli sono graziosi" disse la vecchia. "Fate come se foste a casa vostra e, se trovate una testa d'anguilla, portatemela."
E così fecero come se fossero a casa loro.
Ma il povero anatroccolo che era uscito per ultimo dall'uovo e che era così brutto venne beccato, spinto e preso in giro, sia dalle anatre che dalle galline: "È troppo grosso!" dicevano tutti, e il tacchino, che era nato con gli speroni e quindi credeva di essere imperatore, si gonfiò come un'imbarcazione a vele spiegate e si precipitò contro di lui, gorgogliando e con la testa tutta rossa. Il povero anatroccolo non sapeva se doveva rimanere o andare via, era molto abbattuto perché era così brutto e tutto il pollaio lo prendeva in giro.
Così passò il primo giorno, e col tempo fu sempre peggio. Il povero anatroccolo veniva cacciato da tutti, persino i suoi fratelli erano cattivi con lui e dicevano sempre: "Se solo il gatto ti prendesse, brutto mostro!" e la madre pensava: "Se tu fossi lontano da qui!." Le anatre lo beccavano, le galline
10 colpivano e la ragazza che portava il mangime alle bestie lo allontanava a calci.
Così volò oltre la siepe; gli uccellini che si trovavano tra i cespugli si alzarono in volo spaventati. "È perché io sono così brutto" pensò l'anatroccolo e chiuse gli occhi, ma continuò a correre. Arrivò così nella grande palude, abitata dalle anatre selvatiche. Lì giacque tutta la notte: era molto stanco e triste.
11 mattino dopo le anatre selvatiche si alzarono e guardarono il loro nuovo compagno. "E tu chi sei?" gli chiesero, e l'anatroccolo si voltò da ogni parte e salutò come meglio potè.
"Sei proprio brutto!" esclamarono le anatre selvatiche "ma a noi non importa nulla, purché tu non ti sposi con qualcuno della nostra famiglia!" Quel poveretto non pensava certo a sposarsi, gli bastava solamente poter stare tra i giunchi e bere un po' di acqua della palude.
Lì rimase due giorni, poi giunsero due oche selvatiche, o meglio, due paperi selvatici, dato che erano maschi. Era passato poco tempo da quando erano usciti dall'uovo e per questo erano molto spavaldi.
"Ascolta, compagno" dissero "tu sei così brutto che ci piaci molto! Vuoi venire con noi e essere uccello di passo? In un'altra palude qui vicino si trovano delle graziose oche selvatiche, tutte signorine, che sanno dire qua! Tu potresti avere fortuna, dato che sei così brutto!"
"Pum, pum!" si sentì in quel momento, entrambe le anatre caddero morte tra i giunchi e l'acqua si arrossò per il sangue. "Pum, pum!" si sentì di nuovo, e tutte le oche selvatiche si sollevarono in schiere. Poi spararono di nuovo. C'era caccia grossa; i cacciatori giravano per la palude, sì, alcuni s'erano arrampicati sui rami degli alberi e si affacciavano sui giunchi. Il fumo grigio si spandeva come una nuvola tra gli alberi neri e rimase a lungo sull'acqua. Nel fango giunsero i cani da caccia plasch, plasch! Canne e giunchi dondolavano da ogni parte. Spaventato, il povero anatroccolo piegò la testa cercando di infilarsela sotto le ali, ma in quello stesso momento si trovò vicino un cane terribilmente grosso, con la lingua che gli pendeva fuori dalla bocca e gli occhi che brillavano orrendamente; avvicinò il muso all'anatroccolo, mostrò i denti aguzzi e plasch! se ne andò senza fargli nulla.
"Dio sia lodato!" sospirò l'anatroccolo "sono così brutto che persino il cane non osa mordermi."
E rimase tranquillo, mentre i pallini fischiavano tra i giunchi e si sentiva sparare un colpo dopo l'altro.
Solo a giorno inoltrato tornò la quiete, ma il povero giovane ancora non osava rialzarsi; attese ancora molte ore prima di guardarsi intorno, e poi si affrettò a lasciare la palude il più presto possibile. Corse per campi e prati, ma c'era molto vento e faceva fatica a avanzare.
Verso sera raggiunse una povera e piccola casa di contadini, era così misera che lei stessa non sapeva da che parte doveva cadere, e così rimaneva in piedi. Il vento soffiava intorno all'anatroccolo, tanto che lui dovette sedere sulla coda per poter resistere, ma diventava sempre peggio. Allora notò che la porta si era scardinata da un lato e era tutta inclinata, e che lui, attraverso la fessura, poteva infilarsi nella stanza, e così fece.
Qui abitava una vecchia col suo gatto e la gallina; il gatto, che lei chiamava "figliolo," sapeva incurvare la schiena e fare le fusa, e faceva persino scintille se lo si accarezzava contro pelo. La gallina aveva le zampe piccole e basse e per questo era chiamata "coccodè gamba corta," faceva le uova e la donna le voleva bene come a una figlia.
Al mattino si accorsero subito dell'anatroccolo estraneo, e il gatto cominciò a fare le fusa e la gallina a chiocciare.
"Che succede?" chiese la vecchia, e si guardò intorno, ma non ci vedeva bene e così credette che l'anatroccolo fosse una grassa anatra che si era smarrita. "È proprio una bella preda!" disse "ora potrò avere uova di anatra, purché non sia un maschio! Lo metterò alla prova."
E così l'anatroccolo restò in prova per tre settimane, ma non fece nessun uovo. Il gatto era il padrone di casa e la gallina era la padrona, e sempre dicevano: "Noi e il mondo!" perché credevano di esserne la metà, e naturalmente la metà migliore. L'anatroccolo pensava che si potesse avere anche un'altra opinione, ma questo la gallina non lo sopportava.
"Fai le uova?" chiese la gallina.
"No."
"Allora te ne vuoi stare zitto!"
E il gatto gli disse: "Sei capace di inarcare la schiena, di fare le fusa e di fare scintille?".
"No!"
"Bene, allora non devi avere più opinioni, quando parlano le persone ragionevoli."
E l'anatroccolo se ne stava in un angolo, di cattivo umore. Poi cominciò a pensare all'aria fresca e al bel sole. Lo prese una strana voglia di andare nell'acqua, alla fine non potè trattenersi e lo disse alla gallina.
"Cosa ti succede?" gli chiese lei. "Non hai niente da fare, è per questo che ti vengono le fantasie. Fai le uova, o fai le fusa, vedrai che ti passa!"
"Ma è così bello galleggiare sull'acqua!" disse l'anatroccolo "così bello averla sulla testa e tuffarsi giù fino al fondo!"
"Sì, è certo un gran divertimento!" commentò la gallina "tu sei ammattito! Chiedi al gatto, che è il più intelligente che io conosca, se gli piace galleggiare sull'acqua o tuffarsi sotto! Quanto a me, neanche a parlarne! Chiedilo anche alla nostra signora, la vecchia dama! Più intelligente di lei non c'è nessuno nel mondo. Credi che lei abbia voglia di galleggiare o di avere l'acqua sopra la testa?"
"Voi non mi capite!" disse l'anatroccolo.
"Certo, se non ti capiamo noi chi dovrebbe capirti, allora? Non sei certo più intelligente del gatto o della donna, per non parlare di me! Non darti delle arie, piccolo! e ringrazia il tuo creatore per tutto il bene che ti è stato fatto. Non sei forse stato in una stanza calda e non hai una compagnia da cui puoi imparare qualcosa? Ma tu sei strambo, e non è certo divertente vivere con te. A me puoi credere: io faccio il tuo bene se ti dico cose spiacevoli; da questo si riconoscono i veri amici. Cerca piuttosto di fare le uova o di fare le fusa o le scintille!"
"Credo che me ne andrò per il mondo" disse l'anatroccolo.
"Fai come vuoi!" gli rispose la gallina.
E così l'anatroccolo se ne andò. Galleggiava sull'acqua e vi si tuffava, ma era disprezzato da tutti gli animali per la sua bruttezza.
Venne l'autunno. Le foglie del bosco ingiallirono, il vento le afferrò e le fece danzare e su nel cielo sembrava facesse proprio freddo. Le nuvole erano cariche di grandine e di fiocchi di neve, e sulla siepe si trovava un corvo che, ah! ah! si lamentava dal freddo. Vengono i brividi solo a pensarci. Il povero anatroccolo non stava certo bene.
Una sera che il sole tramontava splendidamente, uscì dai cespugli uno stormo di bellissimi e grandi uccelli; l'anatroccolo non ne aveva mai visti di così belli. Erano di un bianco lucente, con lunghi colli flessibili: erano cigni. Mandarono un grido bizzarro, allargarono le loro magnifiche e lunghe ali e volarono via, dalle fredde regioni fino ai paesi più caldi, ai mari aperti! Si alzarono così alti che il brutto anatroccolo sentì una strana nostalgia, si rotolò nell'acqua come una ruota, sollevò il collo verso di loro e emise un grido così acuto e strano, che lui stesso ne ebbe paura. Oh, non riusciva a dimenticare quei bellissimi e fortunati uccelli e quando non li vide più, si tuffò nell'acqua fino sul fondo, e tornato a galla era come fuori di sé. Non sapeva che uccelli fossero e neppure dove si stavano dirigendo, ma ciò nonostante li amava come non aveva mai amato nessun altro. Non li invidiava affatto. Come avrebbe potuto desiderare una simile bellezza! Sarebbe stato contento se solo le anatre lo avessero accettato tra loro. Povero brutto animale!
E l'inverno fu freddo, molto freddo. L'anatroccolo dovette nuotare continuamente per evitare che l'acqua ghiacciasse, ma ogni notte il buco in cui nuotava si faceva sempre più stretto. Ghiacciò, poi la superficie scricchiolò. L'anatroccolo doveva muovere le zampe senza fermarsi, affinché l'acqua non si chiudesse; alla fine si indebolì, si fermò e restò intrappolato nel ghiaccio.
Al mattino presto arrivò un contadino, lo vide e col suo zoccolo ruppe il ghiaccio, poi lo portò a casa da sua moglie. Lì lo fecero rinvenire.
I bambini volevano giocare con lui, ma l'anatroccolo credette che gli volessero fare del male; e per paura cadde nel secchio del latte e lo fece traboccare nella stanza. La donna gridò e agitò le mani, lui allora volò sulla dispensa dove c'era il burro, e poi nel barile della farina, e poi fuori di nuovo! Uh, come si era ridotto! La donna gridava e lo inseguiva con le molle del camino e i bambini si urtavano tra loro cercando di afferrarlo e intanto ridevano e gridavano. Per fortuna la porta era aperta; l'anatroccolo volò fuori tra i cespugli, nella neve caduta, e lì restò, stordito.
Sarebbe troppo straziante raccontare tutte le miserie e i patimenti che dovette sopportare nel duro inverno. Si trovava nella palude tra le canne, quando il sole ricominciò a splendere caldo. Le allodole cantavano, era giunta la bella primavera!
Allora sollevò con un colpo solo le ali, che frusciarono più robuste di prima e che lo sostennero con forza, e prima ancora di accorgersene si trovò in un grande giardino, pieno di meli in fiore, dove i cespugli di lilla profumavano e piegavano i lunghi rami verdi giù fino ai canali serpeggianti. Oh! Che bel posto! e com'era fresca l'aria di primavera! Dalle fitte piante uscirono, proprio davanti a lui, tre bellissimi cigni bianchi; frullarono le piume e galleggiarono dolcemente sull'acqua. L'anatroccolo riconobbe quegli splendidi animali e fu invaso da una strana tristezza.
"Voglio volare da loro, da quegli uccelli reali; mi uccideranno con le loro beccate, perché io, così brutto, oso avvicinarmi a loro. Ma non mi importa! è meglio essere ucciso da loro che essere beccato dalle anatre, beccato dalle galline, preso a calci dalla ragazza che ha cura del pollaio, e soffrire tanto d'inverno!" E volò nell'acqua e nuotò verso quei magnifici cigni questi lo guardarono e si diressero verso di lui frullando le piume. "Uccidetemi!" esclamò il povero animale e abbassò la testa verso la superfìcie dell'acqua in attesa della morte, ma, che cosa vide in quell'acqua chiara? Vide sotto di sé la sua propria immagine: non era più il goffo uccello grigio scuro, brutto e sgraziato, era anche lui un cigno.
Che cosa importa essere nati in un pollaio di anatre, quando si e usciti da un uovo di cigno?
Ora era contento di tutte quelle sofferenze e avversità che aveva patito, si godeva di più la felicità e la bellezza che lo salutavano. E i grandi cigni nuotavano intorno a lui e lo accarezzavano col becco.
Nel giardino giunsero alcuni bambini e gettarono pane e grano nell'acqua; poi il più piccolo gridò: "Ce n'è uno nuovo!". E gli altri bambini esultarono con lui: "Sì, ne è arrivato uno nuovo!". Battevano le mani e saltavano, poi corsero a chiamare il padre e la madre, e gettarono di nuovo pane e dolci in acqua, e tutti dicevano: "Il nuovo è il più bello, così giovane e fiero!". E i vecchi cigni si inchinarono davanti a lui.
Allora si sentì timidissimo e infilò la testa dietro le ali, non sapeva neppure lui cosa avesse! Era troppo felice, ma non era affatto superbo, perché un cuore buono non diventa mai superbo! Ricordava come era stato perseguitato e insultato, e ora sentiva dire che era il più bello di tutti gli uccelli! I lilla piegarono i rami fino all'acqua e il sole splendeva caldo e luminoso. Allora lui frullò le piume, rialzò il collo slanciato e esultò nel cuore: "Tanta felicità non l'avevo mai sognata, quando ero un brutto anatroccolo!."
Finalmente una dopo l'altra, le uova scricchiolarono. "Pip, pip" si sentì, tutti i tuorli delle uova erano diventati vivi e sporgevano fuori la testolina.
"Qua, qua!" disse l'anatra, e subito tutti schiamazzarono a più non posso, guardando da ogni parte sotto le verdi foglie; e la madre lasciò che guardassero, perché il verde fa bene agli occhi.
"Com'è grande il mondo!" esclamarono i piccoli, adesso infatti avevano molto più spazio di quando stavano nell'uovo.
"Credete forse che questo sia tutto il mondo?" chiese la madre. "Si stende molto lontano, oltre il giardino, fino al prato del pastore; ma fin là non sono mai stata. Ci siete tutti, vero?" e intanto si alzò. "No, non siete tutti. L'uovo più grande è ancora qui. Quanto ci vorrà? Ormai sono quasi stufa" e si rimise a covare.
"Allora, come va?" chiese una vecchia anatra giunta a farle visita.
"Ci vuole tanto tempo per quest'unico uovo!" rispose l'anatra che covava. "Non vuole rompersi. Ma dovresti vedere gli altri! Sono i più deliziosi anatroccoli che io abbia mai visto assomigliano tanto al loro padre, quel briccone, che non viene neppure a trovarmi."
"Fammi vedere l'uovo che non si vuole rompere!" disse la vecchia. "Può essere un uovo di tacchina! Anch'io sono stata ingannata una volta, e ho passato dei guai con i piccoli che avevano una paura incredibile dell'acqua. Non riuscii a farli uscire. Schiamazzai e beccai, ma non servì a nulla. Fammi vedere l'uovo. Sì, è un uovo di tacchina. Lascialo stare e insegna piuttosto a nuotare ai tuoi piccoli."
"Adesso lo covo ancora un po'; l'ho covato così a lungo che posso farlo ancora un po'!"
"Fai come vuoi!" commentò la vecchia anatra andandosene.
Finalmente quel grosso uovo si ruppe. "Pip, pip" esclamò il piccolo e uscì: era molto grande e brutto. L'anatra lo osservò.
"È un anatroccolo esageratamente grosso!" disse. "Nessuno degli altri è come lui! Purché non sia un piccolo di tacchina! Bene, lo scopriremo presto. Deve entrare in acqua, anche a costo di prenderlo a calci!"
Il giorno dopo era una giornata bellissima; il sole splendeva sulle verdi foglie di farfaraccio. Mamma anatra arrivò con tutta la famiglia al canale. Splash! si buttò in acqua; "qua, qua!" disse, e tutti i piccoli si tuffarono uno dopo l'altro. L'acqua coprì le loro testoline, ma subito tornarono a galla e galleggiarono beatamente; le zampe si muovevano da sole e c'erano proprio tutti, anche il piccolo brutto e grigio nuotava con loro.
"No, non è un tacchino!" esclamò l'anatra "guarda come muove bene le zampe, come si tiene ben dritto! È proprio mio! In fondo è anche carino se lo si guarda bene. Qua, qua! venite con me, vi condurrò nel mondo e vi presenterò agli altri abitanti del pollaio, ma state sempre vicino a me, che nessuno vi calpesti, e fate attenzione al gatto!"
Entrarono nel pollaio. C'era un chiasso terribile, perché due famiglie si contendevano una testa d'anguilla, che alla fine andò al gatto.
"Vedete come va il mondo!" disse la mamma anatra leccandosi il becco, dato che anche lei avrebbe voluto la testa d'anguilla. "Adesso muovete le zampe" aggiunse "provate a salutare e a inchinarvi a quella vecchia anatra. È la più distinta di tutte, è di origine spagnola, per questo è così pesante! Guardate, ha uno straccio rosso intorno a una zampa. È una cosa proprio straordinaria, la massima onorificenza che un'anatra possa ottenere. Significa che non la si vuole abbandonare, e che è rispettata sia dagli animali che dagli uomini. Muovetevi! Non tenete i piedi in dentro! Un anatroccolo ben educato tiene le gambe ben larghe, proprio come il babbo e la mamma. Ecco! Adesso chinate il collo e dite qua!"
E così fecero, ma le altre anatre lì intorno li guardarono e esclamarono: "Guardate! Adesso arriva la processione, come se non fossimo abbastanza, e, mamma mia com'è brutto quell'anatroccolo! Lui non lo vogliamo!" e subito un'anatra gli volò vicino e lo beccò alla nuca.
"Lasciatelo stare" gridò la madre "non ha fatto niente a nessuno!"
"Sì, ma è troppo grosso e strano!" rispose l'anatra che lo aveva beccato "e quindi ne prenderà un bel po'!"
"Che bei piccini ha mamma anatra!" disse la vecchia con lo straccetto intorno alla zampa "sono tutti belli, eccetto uno, che non è venuto bene. Sarebbe bello che lo potesse rifare!"
"Non è possibile, Vostra Grazia!" rispose mamma anatra "non è bello, ma è di animo molto buono e nuota bene come tutti gli altri, anzi un po' meglio. Credo che, crescendo, diventerà più bello e che col tempo sarà meno grosso. È rimasto troppo a lungo nell'uovo, per questo ha un corpo non del tutto normale". E intanto lo grattò col becco sulla nuca e gli lisciò le piume. "Comunque è un maschio" aggiunse "e quindi non è così importante. Credo che avrà molta forza e riuscirà a cavarsela!".
"Gli altri anatroccoli sono graziosi" disse la vecchia. "Fate come se foste a casa vostra e, se trovate una testa d'anguilla, portatemela."
E così fecero come se fossero a casa loro.
Ma il povero anatroccolo che era uscito per ultimo dall'uovo e che era così brutto venne beccato, spinto e preso in giro, sia dalle anatre che dalle galline: "È troppo grosso!" dicevano tutti, e il tacchino, che era nato con gli speroni e quindi credeva di essere imperatore, si gonfiò come un'imbarcazione a vele spiegate e si precipitò contro di lui, gorgogliando e con la testa tutta rossa. Il povero anatroccolo non sapeva se doveva rimanere o andare via, era molto abbattuto perché era così brutto e tutto il pollaio lo prendeva in giro.
Così passò il primo giorno, e col tempo fu sempre peggio. Il povero anatroccolo veniva cacciato da tutti, persino i suoi fratelli erano cattivi con lui e dicevano sempre: "Se solo il gatto ti prendesse, brutto mostro!" e la madre pensava: "Se tu fossi lontano da qui!." Le anatre lo beccavano, le galline
10 colpivano e la ragazza che portava il mangime alle bestie lo allontanava a calci.
Così volò oltre la siepe; gli uccellini che si trovavano tra i cespugli si alzarono in volo spaventati. "È perché io sono così brutto" pensò l'anatroccolo e chiuse gli occhi, ma continuò a correre. Arrivò così nella grande palude, abitata dalle anatre selvatiche. Lì giacque tutta la notte: era molto stanco e triste.
11 mattino dopo le anatre selvatiche si alzarono e guardarono il loro nuovo compagno. "E tu chi sei?" gli chiesero, e l'anatroccolo si voltò da ogni parte e salutò come meglio potè.
"Sei proprio brutto!" esclamarono le anatre selvatiche "ma a noi non importa nulla, purché tu non ti sposi con qualcuno della nostra famiglia!" Quel poveretto non pensava certo a sposarsi, gli bastava solamente poter stare tra i giunchi e bere un po' di acqua della palude.
Lì rimase due giorni, poi giunsero due oche selvatiche, o meglio, due paperi selvatici, dato che erano maschi. Era passato poco tempo da quando erano usciti dall'uovo e per questo erano molto spavaldi.
"Ascolta, compagno" dissero "tu sei così brutto che ci piaci molto! Vuoi venire con noi e essere uccello di passo? In un'altra palude qui vicino si trovano delle graziose oche selvatiche, tutte signorine, che sanno dire qua! Tu potresti avere fortuna, dato che sei così brutto!"
"Pum, pum!" si sentì in quel momento, entrambe le anatre caddero morte tra i giunchi e l'acqua si arrossò per il sangue. "Pum, pum!" si sentì di nuovo, e tutte le oche selvatiche si sollevarono in schiere. Poi spararono di nuovo. C'era caccia grossa; i cacciatori giravano per la palude, sì, alcuni s'erano arrampicati sui rami degli alberi e si affacciavano sui giunchi. Il fumo grigio si spandeva come una nuvola tra gli alberi neri e rimase a lungo sull'acqua. Nel fango giunsero i cani da caccia plasch, plasch! Canne e giunchi dondolavano da ogni parte. Spaventato, il povero anatroccolo piegò la testa cercando di infilarsela sotto le ali, ma in quello stesso momento si trovò vicino un cane terribilmente grosso, con la lingua che gli pendeva fuori dalla bocca e gli occhi che brillavano orrendamente; avvicinò il muso all'anatroccolo, mostrò i denti aguzzi e plasch! se ne andò senza fargli nulla.
"Dio sia lodato!" sospirò l'anatroccolo "sono così brutto che persino il cane non osa mordermi."
E rimase tranquillo, mentre i pallini fischiavano tra i giunchi e si sentiva sparare un colpo dopo l'altro.
Solo a giorno inoltrato tornò la quiete, ma il povero giovane ancora non osava rialzarsi; attese ancora molte ore prima di guardarsi intorno, e poi si affrettò a lasciare la palude il più presto possibile. Corse per campi e prati, ma c'era molto vento e faceva fatica a avanzare.
Verso sera raggiunse una povera e piccola casa di contadini, era così misera che lei stessa non sapeva da che parte doveva cadere, e così rimaneva in piedi. Il vento soffiava intorno all'anatroccolo, tanto che lui dovette sedere sulla coda per poter resistere, ma diventava sempre peggio. Allora notò che la porta si era scardinata da un lato e era tutta inclinata, e che lui, attraverso la fessura, poteva infilarsi nella stanza, e così fece.
Qui abitava una vecchia col suo gatto e la gallina; il gatto, che lei chiamava "figliolo," sapeva incurvare la schiena e fare le fusa, e faceva persino scintille se lo si accarezzava contro pelo. La gallina aveva le zampe piccole e basse e per questo era chiamata "coccodè gamba corta," faceva le uova e la donna le voleva bene come a una figlia.
Al mattino si accorsero subito dell'anatroccolo estraneo, e il gatto cominciò a fare le fusa e la gallina a chiocciare.
"Che succede?" chiese la vecchia, e si guardò intorno, ma non ci vedeva bene e così credette che l'anatroccolo fosse una grassa anatra che si era smarrita. "È proprio una bella preda!" disse "ora potrò avere uova di anatra, purché non sia un maschio! Lo metterò alla prova."
E così l'anatroccolo restò in prova per tre settimane, ma non fece nessun uovo. Il gatto era il padrone di casa e la gallina era la padrona, e sempre dicevano: "Noi e il mondo!" perché credevano di esserne la metà, e naturalmente la metà migliore. L'anatroccolo pensava che si potesse avere anche un'altra opinione, ma questo la gallina non lo sopportava.
"Fai le uova?" chiese la gallina.
"No."
"Allora te ne vuoi stare zitto!"
E il gatto gli disse: "Sei capace di inarcare la schiena, di fare le fusa e di fare scintille?".
"No!"
"Bene, allora non devi avere più opinioni, quando parlano le persone ragionevoli."
E l'anatroccolo se ne stava in un angolo, di cattivo umore. Poi cominciò a pensare all'aria fresca e al bel sole. Lo prese una strana voglia di andare nell'acqua, alla fine non potè trattenersi e lo disse alla gallina.
"Cosa ti succede?" gli chiese lei. "Non hai niente da fare, è per questo che ti vengono le fantasie. Fai le uova, o fai le fusa, vedrai che ti passa!"
"Ma è così bello galleggiare sull'acqua!" disse l'anatroccolo "così bello averla sulla testa e tuffarsi giù fino al fondo!"
"Sì, è certo un gran divertimento!" commentò la gallina "tu sei ammattito! Chiedi al gatto, che è il più intelligente che io conosca, se gli piace galleggiare sull'acqua o tuffarsi sotto! Quanto a me, neanche a parlarne! Chiedilo anche alla nostra signora, la vecchia dama! Più intelligente di lei non c'è nessuno nel mondo. Credi che lei abbia voglia di galleggiare o di avere l'acqua sopra la testa?"
"Voi non mi capite!" disse l'anatroccolo.
"Certo, se non ti capiamo noi chi dovrebbe capirti, allora? Non sei certo più intelligente del gatto o della donna, per non parlare di me! Non darti delle arie, piccolo! e ringrazia il tuo creatore per tutto il bene che ti è stato fatto. Non sei forse stato in una stanza calda e non hai una compagnia da cui puoi imparare qualcosa? Ma tu sei strambo, e non è certo divertente vivere con te. A me puoi credere: io faccio il tuo bene se ti dico cose spiacevoli; da questo si riconoscono i veri amici. Cerca piuttosto di fare le uova o di fare le fusa o le scintille!"
"Credo che me ne andrò per il mondo" disse l'anatroccolo.
"Fai come vuoi!" gli rispose la gallina.
E così l'anatroccolo se ne andò. Galleggiava sull'acqua e vi si tuffava, ma era disprezzato da tutti gli animali per la sua bruttezza.
Venne l'autunno. Le foglie del bosco ingiallirono, il vento le afferrò e le fece danzare e su nel cielo sembrava facesse proprio freddo. Le nuvole erano cariche di grandine e di fiocchi di neve, e sulla siepe si trovava un corvo che, ah! ah! si lamentava dal freddo. Vengono i brividi solo a pensarci. Il povero anatroccolo non stava certo bene.
Una sera che il sole tramontava splendidamente, uscì dai cespugli uno stormo di bellissimi e grandi uccelli; l'anatroccolo non ne aveva mai visti di così belli. Erano di un bianco lucente, con lunghi colli flessibili: erano cigni. Mandarono un grido bizzarro, allargarono le loro magnifiche e lunghe ali e volarono via, dalle fredde regioni fino ai paesi più caldi, ai mari aperti! Si alzarono così alti che il brutto anatroccolo sentì una strana nostalgia, si rotolò nell'acqua come una ruota, sollevò il collo verso di loro e emise un grido così acuto e strano, che lui stesso ne ebbe paura. Oh, non riusciva a dimenticare quei bellissimi e fortunati uccelli e quando non li vide più, si tuffò nell'acqua fino sul fondo, e tornato a galla era come fuori di sé. Non sapeva che uccelli fossero e neppure dove si stavano dirigendo, ma ciò nonostante li amava come non aveva mai amato nessun altro. Non li invidiava affatto. Come avrebbe potuto desiderare una simile bellezza! Sarebbe stato contento se solo le anatre lo avessero accettato tra loro. Povero brutto animale!
E l'inverno fu freddo, molto freddo. L'anatroccolo dovette nuotare continuamente per evitare che l'acqua ghiacciasse, ma ogni notte il buco in cui nuotava si faceva sempre più stretto. Ghiacciò, poi la superficie scricchiolò. L'anatroccolo doveva muovere le zampe senza fermarsi, affinché l'acqua non si chiudesse; alla fine si indebolì, si fermò e restò intrappolato nel ghiaccio.
Al mattino presto arrivò un contadino, lo vide e col suo zoccolo ruppe il ghiaccio, poi lo portò a casa da sua moglie. Lì lo fecero rinvenire.
I bambini volevano giocare con lui, ma l'anatroccolo credette che gli volessero fare del male; e per paura cadde nel secchio del latte e lo fece traboccare nella stanza. La donna gridò e agitò le mani, lui allora volò sulla dispensa dove c'era il burro, e poi nel barile della farina, e poi fuori di nuovo! Uh, come si era ridotto! La donna gridava e lo inseguiva con le molle del camino e i bambini si urtavano tra loro cercando di afferrarlo e intanto ridevano e gridavano. Per fortuna la porta era aperta; l'anatroccolo volò fuori tra i cespugli, nella neve caduta, e lì restò, stordito.
Sarebbe troppo straziante raccontare tutte le miserie e i patimenti che dovette sopportare nel duro inverno. Si trovava nella palude tra le canne, quando il sole ricominciò a splendere caldo. Le allodole cantavano, era giunta la bella primavera!
Allora sollevò con un colpo solo le ali, che frusciarono più robuste di prima e che lo sostennero con forza, e prima ancora di accorgersene si trovò in un grande giardino, pieno di meli in fiore, dove i cespugli di lilla profumavano e piegavano i lunghi rami verdi giù fino ai canali serpeggianti. Oh! Che bel posto! e com'era fresca l'aria di primavera! Dalle fitte piante uscirono, proprio davanti a lui, tre bellissimi cigni bianchi; frullarono le piume e galleggiarono dolcemente sull'acqua. L'anatroccolo riconobbe quegli splendidi animali e fu invaso da una strana tristezza.
"Voglio volare da loro, da quegli uccelli reali; mi uccideranno con le loro beccate, perché io, così brutto, oso avvicinarmi a loro. Ma non mi importa! è meglio essere ucciso da loro che essere beccato dalle anatre, beccato dalle galline, preso a calci dalla ragazza che ha cura del pollaio, e soffrire tanto d'inverno!" E volò nell'acqua e nuotò verso quei magnifici cigni questi lo guardarono e si diressero verso di lui frullando le piume. "Uccidetemi!" esclamò il povero animale e abbassò la testa verso la superfìcie dell'acqua in attesa della morte, ma, che cosa vide in quell'acqua chiara? Vide sotto di sé la sua propria immagine: non era più il goffo uccello grigio scuro, brutto e sgraziato, era anche lui un cigno.
Che cosa importa essere nati in un pollaio di anatre, quando si e usciti da un uovo di cigno?
Ora era contento di tutte quelle sofferenze e avversità che aveva patito, si godeva di più la felicità e la bellezza che lo salutavano. E i grandi cigni nuotavano intorno a lui e lo accarezzavano col becco.
Nel giardino giunsero alcuni bambini e gettarono pane e grano nell'acqua; poi il più piccolo gridò: "Ce n'è uno nuovo!". E gli altri bambini esultarono con lui: "Sì, ne è arrivato uno nuovo!". Battevano le mani e saltavano, poi corsero a chiamare il padre e la madre, e gettarono di nuovo pane e dolci in acqua, e tutti dicevano: "Il nuovo è il più bello, così giovane e fiero!". E i vecchi cigni si inchinarono davanti a lui.
Allora si sentì timidissimo e infilò la testa dietro le ali, non sapeva neppure lui cosa avesse! Era troppo felice, ma non era affatto superbo, perché un cuore buono non diventa mai superbo! Ricordava come era stato perseguitato e insultato, e ora sentiva dire che era il più bello di tutti gli uccelli! I lilla piegarono i rami fino all'acqua e il sole splendeva caldo e luminoso. Allora lui frullò le piume, rialzò il collo slanciato e esultò nel cuore: "Tanta felicità non l'avevo mai sognata, quando ero un brutto anatroccolo!."
Het was zomer en zó heerlijk buiten op het land! Het graan was goudgeel, de haver groen, het hooi stond in oppers op de groene weiden en daar liep de ooievaar op zijn lange rode benen en klepperde Egyptisch, want die taal had hij van zijn moeder geleerd. Rondom de akkers en de weiden waren er grote bossen en midden in die bossen diepe meren; ja, het was werkelijk heerlijk daar buiten op het land!
Midden in de zonneschijn lag een oud landgoed met diepe grachten er omheen en van de muren tot aan het water groeiden de bladeren van het groot hoefblad, die zo hoog waren, dat kleine kinderen er rechtop onder konden staan: het was er net zo wild als in het dichtste bos. Daar zat een eend op haar nest; zij moest haar kuikentjes uitbroeden, maar nu had ze er heus genoeg van, omdat het te lang duurde en ze maar zo zelden bezoek kreeg. De andere eenden hielden er meer van rond te zwemmen in de grachten, dan onder een zuringblad met haar te zitten snateren.
Eindelijk sprong het ene ei na het andere open: "piep, piep," klonk het; alle eierdooiers waren levend geworden en staken het kopje naar buiten.
"Vlug! Vlug!" zei ze en ze repten zich wat ze konden en keken naar alle kanten. De moeder liet ze kijken zoveel ze maar wilden, want groen is goed voor de ogen.
"Wat is de wereld toch groot!" zeiden de jonge eendjes, want ze hadden nu heel wat meer plaats, dan toen ze in het ei zaten.
"Denken jullie, dat dit de hele wereld is?" zei de moedereend, "die strekt zich nog heel ver uit aan de andere kant van de tuin, tot op het erf van de dominee, maar daar ben ik nooit geweest. Ik heb jullie hier toch wel allemaal bij elkaar?" De moedereend stond op en zei: "Neen, ik heb ze niet allemaal. Het grootste ei ligt er nog; hoe lang zal dat nog duren? Nu heb ik er toch gauw genoeg van!" En ze ging weer op het nest zitten.
"Wel, hoe gaat het, buurvrouw?" zei een oude eend, die op visite kwam.
"Het duurt zo lang met dat ene ei," zei de eend, die op het nest zat. "Er wil maar geen gat in komen. Maar nu moet je de anderen eens zien. Zijn het niet de liefste eendjes van de wereld " Ze lijken allemaal op hun vader, die booswicht! Die komt me niet eens feliciteren." - "Laat me dat ei eens zien, dat niet wil barsten," zei de oude eend. "Je kunt ervan op aan, dat het een kalkoenei is. Ik ben ook eens zo voor de mal gehouden, maar ik zal je vertellen, dat ik heel wat had uit te staan met de jongen, want ze zijn bang voor het water. Ik kon ze er maar niet in krijgen; ik kwaakte en snaterde, maar het hielp niet! " Laat mij dat ei eens zien! Ja zeker, dat is een kalkoenei. Laat hem liggen en leer de andere kinderen zwemmen!"
"Ik wil er toch nog een beetje op blijven zitten!" zei de moedereend. "Ik heb er nu toch al zo lang op gezeten."
"Ga je gang!" sprak de oude eend en ging weg.
Eindelijk barstte het grote ei. "Piep! Piep!" zei het jong en waggelde naar buiten, want het was erg groot en lelijk. De moedereend keek ernaar en zei: "Je bent een vreselijk groot eendenjong. Geen van de anderen ziet er zo uit. Het zal toch geen kalkoenkuiken zijn? Daar zullen we gauw achter komen. In het water moet hij, al moet ik hem er zelf intrappen!"
De volgende dag was het heerlijk weer, de zon scheen op alle groene zuringplanten. De moedereend ging met haar hele gezin naar de gracht toe. Plons! Zij sprong in het water en riep: "Vlug! Vlug!" en het ene jonge eendje na het andere plompte er in; het water sloeg hen over het hoofd, maar ze kwamen dadelijk weer boven en dreven zo heerlijk, de pootjes gingen vanzelf. Ze waren er allemaal in; zelfs het lelijke grijze eendje zwom mee.
"Neen, dat is geen kalkoen!" zei ze. "Kijk eens, hoe mooi hij zijn poten gebruikt en wat houdt hij zich recht. Dat is mijn eigen jong. Hij is toch eigenlijk heel aardig, als je hem goed bekijkt. Vlug! Vlug! Kom met me mee, dan zal ik jullie in de wereld brengen en je voorstellen op het eendenveldje, maar jullie moeten altijd vlak bij me blijven, zodat niemand op je trapt, en pas op voor de kat!" En zo kwamen ze op het eendenveldje. Daar heerste een vreselijk lawaai, want er waren twee gezinnen, die om een palingkop vochten, en tenslotte kreeg de kat hem nog.
"Kijk, zo gaat het nu in de wereld," zei de moedereend en likte zich de snavel af, want zij wou ook de palingkop wel hebben. "Gebruik nu je poten," zei ze. "Zorg, dat je mooi kwaakt en buig met je hals voor die oude eend daar; ze is de voornaamste van allen hier. Ze is van adel, daarom is ze dik; en zie je wel, dat ze een rood bandje om haar poot heeft? Dat is iets heel moois en de hoogste onderscheiding die een eend kan krijgen. Dat betekent zoveel als dat men haar niet kwijt wil raken en dat alle mensen en dieren haar zullen herkennen. Vooruit nu! Niet met je poten naar binnen. Een welopgevoede jonge eend zet zijn poten ver uit elkaar, net als vader en moeder. Kijk zo! Buig nu met je hals en zeg: Kwaak!"
En dat deden ze; de andere eenden er om heen keken naar hen en zeiden heel luid: "Het is wat moois! Nu krijgen we dat stel er nog bij, alsof er nog niet genoeg zijn! En foei, wat ziet dat ene jong er uit! Dat laten we niet toe!" En onmiddellijk vloog er een eend op hem af en beet hem in zijn nek.
"Laat hem met rust!" zei de moedereend, "hij doet toch niemand kwaad!"
"Ja, maar hij is zo groot en zo raar," sprak de eend, die gebeten had, "en daarom moeten we hem mores leren!"
"U hebt mooie kinderen, moeder!" zei de oude eend met het bandje om haar poot. "Ze zijn allemaal mooi, op één na, die is mislukt. Ik wou, dat U hem over kon maken!"
"Dat gaat niet, Uw genade!" antwoordde de moedereend. "Hij is niet mooi, maar hij heeft een echt goed karakter en zwemt net zo goed als een van de anderen, ja, ik durf zelfs zeggen een beetje beter. Ik denk, dat hij er wel doorheen zal groeien en mettertijd wat slanker zal worden. Hij heeft te lang in het ei gezeten en daarom heeft hij nog niet het goede figuur!" En zij plukte hem in zijn nek en streek zijn veren glad. "Bovendien is het een woerd," zei ze, "en het doet er dus niet zo veel toe, ik geloof dat hij sterk zal worden; hij zal zich er heus wel doorheen slaan!"
"De andere eendjes zijn aardig," zei de oude eend. "Doe alsof je thuis bent en als je een palingkop vindt, mag je me die brengen!" En zo was het net alsof ze thuis waren.
Maar het arme eendje, dat het laatst uit het ei was gekropen en zo lelijk was, werd gebeten en geduwd en voor de gek gehouden. "Hij is te groot!" zeiden ze allemaal, en de kalkoense haan, die met sporen was geboren en zich daarom verbeeldde dat hij keizer was, blies zich op als een schip met volle zeilen, vloog op hem af en kakelde, dat hij er een rood hoofd van kreeg.
Het arme eendje wist zich niet te bergen, het was erg bedroefd, omdat het er zo lelijk uitzag en bespot werd door de hele eendenhof. Zo ging het de eerste dag en het werd hoe langer hoe erger. De arme jonge eend werd door alle andere opgejaagd, zelfs zijn eigen broertjes en zusjes deden lelijk tegen hem en ze zeiden maar steeds: "Nam de kat je maar mee, lelijk spektakel!" De moeder zei: "Was je maar heel ver weg!" en de eenden beten hem en de kippen pikten hem en het meisje, dat de dieren kwam voeren, schopte hem.
Toen liep hij weg en vloog over de omheining; de vogeltjes in de bosjes vlogen verschrikt op. "Dat is omdat ik zo lelijk ben!" dacht het eendje en deed zijn ogen dicht; maar hij liep toch maar weg.
Zo kwam hij in een grote plas, waar de wilde eenden woonden. Daar lag hij de hele nacht, want hij was toch zo moe en verdrietig. Tegen de morgen vlogen de wilde eenden op en zagen de nieuwe kameraad.
"Wat ben jij voor iemand?" vroegen ze en het eendje draaide zich naar alle kanten en groette zo goed hij kon.
"Je bent foeilelijk!" zeiden de wilde eenden. "Maar dat is ons om het even, als je maar niet in onze familie trouwt." De stakker! Hij dacht in het geheel niet aan trouwen, als hij maar in het riet mocht liggen en wat water uit de plas mocht drinken.
Daar lag hij twee dagen lang; toen kwamen er twee wilde mannetjesganzen. Ze waren nog niet heel lang uit het ei en daarom waren ze zo kwiek.
"Hoor eens kameraad," zeiden ze, "je bent zo lelijk, dat we je wel mogen. Wil je meegaan en een trekvogel worden? Dicht hierbij, in een andere plas, zijn aardige lieve wilde ganzen, allemaal wijfjes. Je kunt daar je geluk beproeven, hoe lelijk je ook bent."
"Pief, paf!" klonk het plotseling boven hen en beide wilde ganzen vielen dood neer in het riet; het water werd bloedrood. "Pief, paf!*" klonk het weer; hele troepen wilde ganzen vlogen op uit het riet en toen knalde het weer. Er werd een grote jacht gehouden; de jagers lagen om de plas heen, sommigen zaten zelfs op de takken van de bomen, die zich ver over het riet uitstrekten. De blauwe damp dreef als een wolk tussen de donkere bomen en bleef hangen boven het water; de jachthonden kwamen door de modder gelopen, plas, plas, zodat biezen en riet naar alle kanten uit elkaar bogen. Tot grote schrik van het arme eendje; hij draaide zijn kop om hem onder zijn vleugels te steken en op hetzelfde ogenblik stond vlakbij een vreselijk grote hond; zijn tong hing hem ver uit de bek en zijn ogen fonkelden. Hij hapte naar het eendje, liet zijn scherpe tanden zien, en plas, plas, ging hij verder, zonder de eend mee te nemen. "De hemel zij dank!" zuchtte het eendje. "Ik ben zo lelijk, dat zelfs de hond me niet wil bijten"
En hij bleef stil liggen, terwijl de hagelkorrels door het riet suisden en het ene schot na het andere klonk.
De dag was al een heel eind verstreken voor het stil werd, maar het arme eendje durfde nog niet op te staan; hij wachtte nog enige uren voor hij rondkeek en toen liep hij zo hard hij kon weg uit de plas. En hij bleef maar lopen, door de wei en over stoppelveldjes. Er stond zo'n wind, dat hij moeite had vooruit te komen.
Tegen de avond kwam hij aan een armoedig boerenhuis; dit was zo bouwvallig, dat het zelf niet wist naar welke kant het zou vallen en zodoende bleef het staan. De wind gierde zo om het eendje heen, dat hij moest gaan zitten om niet weg te waaien. Het werd hoe langer hoe erger, maar toen merkte hij, dat de deur uit het hengsel hing, zo scheef, dat 't eendje door de spleet naar binnen kon sluipen.
Hier woonde een oude vrouw met haar kat en haar kip; de kat, die ze "Zoontje" noemde, kon een hoge rug opzetten en blazen; hij kon ook vonken schieten, maar dan moest men hem tegen de draad in over zijn haren strijken. De kip had heel kleine, korte poten en daarom werd ze "Kukeleku-kortbeen" genoemd; ze legde veel eieren en de vrouw hield van haar als van haar eigen kind. In de ochtend ontdekte men het vreemde eendje dadelijk, de kat begon te blazen en de kip te kakelen.
"Wat is er aan de hand?" zei de vrouw en keek rond, maar ze kon niet erg goed zien en daarom dacht ze, dat het eendje een verdwaalde vette eend was. "Dat is een zeldzame vangst!" zei ze. "Nu kan ik eendeneieren krijgen, als het maar geen woerd is. Dat moeten we eens onderzoeken."
En zo werd het eendje voor drie weken op proef genomen, maar er kwam geen ei. De kat was de heer des huizes en de kip was de mevrouw en ze zeiden maar steeds: "Wij en de wereld," want ze meenden, dat ze de helft ervan waren en nog wel het allerbeste deel. Het eendje vond, dat men van een andere mening kon zijn, maar dat duldde de kip niet.
"Kun je eieren leggen?" vroeg ze.
"Nee!"
"Wil je dan je snavel wel eens houden!"
En de kat zei: "Kun je een hoge rug opzetten, blazen en vonken schieten?"
"Nee!"
"Dan mag je geen mening hebben als anderen praten!"
En het eendje zat in een hoekje en had het land. Toen ging hij denken aan de frisse lucht en de zonneschijn; hij kreeg zo'n erge zin om op het water te drijven, dat hij tenslotte niet kon laten om het tegen de kip te zeggen.
"Wat bezielt je?" vroeg deze.?Je hebt niets te doen, daarom krijg je die nukken. Leg eieren of blaas, dan gaat het over!"
"Maar het is zo heerlijk om op het water te drijven," zei het eendje. "Het is heerlijk om het water over je kop te krijgen en naar de bodem te duiken."
"Ja, dat is heel plezierig!" zei de kip. "Je bent, geloof ik, gek geworden. Vraag eens aan de kat, hij is de knapste die ik ken, of hij er van houdt op het water te drijven of onder te duiken. Over mezelf wil ik niet spreken. Vraag het onze meesteres, de oude vrouw. Er is niemand ter wereld zo verstandig als zij! Denk je, dat ze er plezier in heeft te drijven en water over haar hoofd te krijgen?" - "Jullie begrijpen het niet!" zei het eendje.
"Als wij je niet begrijpen, wie dan wel? Je wilt toch niet verstandiger zijn dan de kat en de vrouw, om van mezelf te zwijgen? Snij niet zo op, kind, en dank je Schepper voor al het goede, dat Hij voor je heeft gedaan. Ben je niet in een warme kamer gekomen en heb je geen omgang, waarvan je wat kunt leren? Maar je praat onzin en het is niet leuk om met je om te gaan. Mij kun je geloven, ik meen het goed met je; ik zeg je onaangename dingen en daardoor leert men zijn ware vrienden kennen! Zorg nu maar, dat je eieren legt en leer blazen of vonken schieten! Dan ben je tenminste iemand."
"Ik geloof, dat ik de wijde wereld maar in ga," sprak het eendje.
"Ja, doe dat!" zei de kip.
En zo ging het eendje weg; hij dreef op het water, hij dook onder, maar omdat hij zo lelijk was, lieten alle dieren hem links liggen. Het najaar brak aan, de bladeren in de bossen werden geel en bruin, de wind kreeg ze te pakken, zodat ze ronddansten, en daarboven in de lucht zag het er koud uit; de wolken voorspelden hagel en sneeuw en op een hek stond de raaf en riep: "Au! Au!" van louter kou. Het was om te bevriezen; het arme eendje had het werkelijk niet best.
Op een avond, toen de zon prachtig onderging, kwam er een hele zwerm mooie grote vogels uit de bosjes. Het eendje had nog nooit zulke mooie vogels gezien: ze waren glanzend wit met lange buigzame halzen; het waren zwanen. Ze maakten een heel vreemd geluid, spreidden hun prachtige lange vleugels uit en vlogen weg uit de koude streken naar warme landen, naar meren, die niet bevroren waren. Ze stegen zo hoog, zo hoog, dat het het eendje bijna teveel werd; hij draaide als een rad in het rond op het water, rekte zijn hals ver uit naar de zwanen en stiet een kreet uit, zo hard en vreemd, dat hij er zelf bang van werd. O, hij kon die mooie, gelukkige vogels niet vergeten. Toen hij ze uit het gezicht verloren had, dook hij heel tot op de bodem en weer boven gekomen, was hij helemaal buiten zichzelf. Hij wist niet hoe de vogels heetten en waarheen ze vlogen, maar toch hield hij van ze, zoals hij nog nooit van iemand had gehouden. Hij was helemaal niet jaloers op die vogels: het kwam niet bij het eendje op zich zoiets heerlijks te wensen; hij zou al best blij zijn, dat arme lelijke dier, als de eenden hem in hun midden hadden geduld.
En het werd toch zo'n koude winter; het eendje moest in het water rondzwemmen om te maken, dat dit niet helemaal dichtvroor, maar elke nacht werd het gat, waarin hij rondzwom, kleiner; het vroor dat het kraakte, het eendje moest aldoor zijn poten gebruiken om te maken, dat het water niet helemaal dicht raakte; tenslotte werd hij moe, lag heel stil en vroor zo vast in het ijs.
In de vroege morgen kwam er een boer, die het eendje zag; hij sloeg met zijn klomp het ijs stuk en droeg het beest naar huis, naar zijn vrouw. Daar kwam het weer bij. De kinderen wilden ermee spelen, maar het eendje dacht, dat ze hem kwaad wilden doen en kwam in zijn angst in het melkvat terecht, zodat de melk in de kamer rondspatte; de vrouw gilde met haar handen in de hoogte, en toen vloog het in het botervat en daarna in de meelton. Wat zag hij er uit!
De vrouw gilde weer, ze sloeg ernaar met de tang en de kinderen liepen elkaar omver om het eendje te vangen, ze lachten en schreeuwden! Gelukkig maar, dat de deur openstond; het eendje vloog naar buiten, tussen de bosjes door in de vers gevallen sneeuw, en daar lag het als in een winterslaap.
Maar het zou al te droevig worden als ik vertelde over de nood en de ontbering, die de eend moest doorstaan in die harde winter. Hij lag in de plas tussen het riet, toen de zon weer warm begon te schijnen: de leeuweriken zongen, het was heerlijk voorjaar.
Toen sloeg het eendje ineens zijn vleugels uit, ze ruisten sterker dan vroeger en droegen hem met kracht voort, en vóór hij het wist, bevond hij zich in een grote tuin, waar de appelbomen in bloei stonden en de seringen aan lange groene takken over de sloten hingen, Hier was het toch zo heerlijk, zo fris, zo voorjaarsachtig!
Dichtbij kwamen drie mooie witte zwanen uit het kreupelhout; zij ruisten met hun veren en dreven licht op het water. Het eendje kende de prachtige dieren en werd door een vreemde droefheid bevangen.
"Ik wil naar die koninklijke vogels toevliegen en ze zullen me doodbijten, omdat ik, die zo lelijk ben, hen durf naderen. Maar dat doet er niet toe! Beter door hen te worden gedood, dan te worden gebeten door de eenden, gepikt door de kippen en geschopt door het meisje, dat op de hoenderhof past, en 's winters gebrek te lijden."
Het eendje vloog het water in en zwom naar de prachtige zwanen toe, die met ruisende vleugels op het eendje toeschoten. "Dood me maar!" zei het arme dier, boog de kop naar het wateroppervlak en wachtte de dood af. Maar wat zag het in het heldere water? Zijn spiegelbeeld! Maar hij was geen lompe, zwartgrijze, lelijke vogel meer; hij was zelf een zwaan!
Het doet er niet toe of men in een eendenhof is geboren, als men maar uit een zwanenei gekomen is.
Hij was blij om alle nood en wederwaardigheden, die hij had beleefd; nu waardeerde hij juist het geluk dat hem ten deel viel. De grote zwanen zwommen om hun nieuwe makker heen en streelden hem met hun snavels.
Er kwamen kleine kinderen de tuin in, ze gooiden brood en graan in het water en de kleinste riep: "Er is een nieuwe!" En de andere kinderen jubelden mee: "Ja, er is een nieuwe gekomen!" en ze klapten in de handen, ze dansten in het rond en liepen naar hun vader en moeder. Er werden brood en koekjes in het water gegooid en ze zeiden allemaal: "De nieuwe is de mooiste! Zo jong en zo prachtig!" En de oude zwanen bogen diep voor hem.
Toen voelde hij zich erg verlegen en stak z'n kop onder de vleugels; hij wist niet hoe hij het had, hij was al te gelukkig, maar helemaal niet trots, want een goed hart wordt nooit trots. Hij dacht er aan hoe hij was vervolgd en gehoond en hoorde nu iedereen zeggen, dat hij de prachtigste van alle prachtige vogels was. En de seringen bogen met hun takken tot in het water naar de jonge zwaan toe en de zon scheen zo warm en zo goed. Toen ruisten zijn veren, de slanke hals verhief zich en uit de grond van zijn hart jubelde hij: "Van zoveel geluk heb ik niet gedroomd, toen ik het lelijke jonge eendje was!"