Il baule volante


Der fliegende Koffer


C'era una volta un commerciante, così ricco che avrebbe potuto ricoprire tutta la strada principale e anche un vicolino laterale di monete d'argento, ma naturalmente non lo fece: sapeva come usare il suo denaro; se dava uno scellino, otteneva un tallero; era proprio un commerciante e come tale morì.
Il figlio ereditò tutti i suoi soldi e visse spensierato, andava alle feste ogni notte, costruiva aquiloni con le banconote e lanciava monete d'oro sul lago per farle rimbalzare invece di usare le pietre, perché naturalmente i soldi saltavano meglio; alla fine non gli restarono che quattro scellini, non aveva vestiti al di fuori di un paio di pantofole e una vecchia vestaglia. Ai suoi amici non importò più nulla di lui, dato che non potevano più uscire insieme per le strade; solo uno di loro, che era buono, gli mandò un vecchio baule e gli disse: "Fai i bagagli!". Facile a dirsi! ma egli non aveva nulla con cui fare i bagagli, così si mise lui stesso nel baule.
Era un baule strano. Non appena si premeva la serratura, il baule si sollevava e volava; e infatti si mise a volare attraverso il camino in alto sopra le nuvole, sempre più lontano. Il fondo scricchiolava, e lui temeva che si rompesse, in quel caso avrebbe proprio fatto un bel volo! Il Signore ci protegga! e così arrivò nella terra dei turchi. Nascose il baule nel bosco sotto le foglie secche e se ne andò in città; lì lo poteva fare, perché in Turchia andavano in giro tutti, come lui, con la vestaglia e le pantofole. Così incontrò una balia con un bambinetto. "Ascolta, balia turca!" disse "che cos'è quel grande castello vicino alla città, che ha le finestre così alte?"
"Ci vive la figlia del re!" fu la risposta "è stato predetto che diventerà molto infelice a causa di un fidanzato, e per questo nessuno può andare da lei, se non ci sono anche il re e la regina."
"Grazie!" rispose il figlio del commerciante, e così se ne tornò nel bosco, si mise nel baule, volò sul tetto e poi entrò dalla finestra fino alla principessa.
La principessa era sdraiata sul divano e dormiva, era così graziosa che il figlio del commerciante dovette baciarla;;lei si svegliò e si spaventò molto, ma lui raccontò di essere il dio dei turchi e di essere sceso dall'aria fino a lei, e lei ne fu molto contenta.
Così sedettero uno vicino all'altra, lui le narrò fiabe sui suoi occhi: erano laghi bellissimi e scuri, e i pensieri vi nuotavano come sirene; e poi raccontò della fronte, che era una montagna di neve con meravigliose sale e quadri, e poi le narrò della cicogna che porta i cari bambini.
Erano delle storie bellissime! Allora le chiese di sposarlo e lei subito accettò.
"Ma dovete tornare qui sabato" aggiunse "quando ci saranno da me il re e la regina a prendere il tè. Saranno molto orgogliosi all'idea che io sposerò il dio dei turchi, ma dovete raccontare una bellissima storia, perché a loro piacciono tanto mia mamma vuole che siano classiche e morali, mio padre invece le preferisce divertenti, che facciano ridere."
"Sì, non porterò altro in dono alla sposa che una storia!" rispose il ragazzo, e poi si separarono, ma prima la principessa gli donò una sciabola intarsiata di monete d'oro, che gli fecero proprio comodo.
Volò via, acquistò una nuova vestaglia e sedette nel bosco, pensando a una storia; doveva essere pronta per sabato, e non era facile.
Alla fine la storia fu pronta, e era proprio sabato.
Il re e la regina e tutta la corte lo aspettavano bevendo il tè presso la principessa. Come venne ricevuto bene!
"Volete raccontarci una storia?" chiese la regina "ma che sia significativa e istruttiva!"
"Ma che faccia anche ridere!" aggiunse il re.
"Certamente" rispose lui, e cominciò a raccontare. Ascoltiamola anche noi adesso.
"C'era una volta un mazzetto di fiammiferi, che erano molto fieri di appartenere a una nobile famiglia, il loro albero di origine, il grande pino, di cui erano solo un piccolissimo rametto, era stato un antico e maestoso albero del bosco. Ora i fiammiferi si trovavano su una mensola tra un acciarino e una vecchia pentola di ferro, e per loro si misero a raccontare della loro infanzia. "Al tempo dei nostri anni più verdi," dicevano "ci trovavamo proprio su un albero verde! Ogni mattina e ogni sera avevamo del tè di diamanti, che era la rugiada, e durante il giorno avevamo i raggi del sole, quando il sole splendeva, e tutti gli uccellini ci raccontavano delle storie. Sapevamo di essere anche ricchi, perché gli altri alberi erano vestiti solo d'estate, mentre la nostra famiglia poteva permettersi vestiti verdi sia d'estate che d'inverno. Poi giunsero dei boscaioli che fecero una gran rivoluzione, e la nostra famiglia venne dispersa. Il tronco principale diventò un albero maestoso in una nave bellissima che poteva navigare intorno al mondo, se lo voleva, gli altri rami andarono in luoghi diversi, e noi abbiamo avuto l'incarico di accendere la luce per la gente vile; per questo noi, che siamo gente aristocratica, siamo arrivati fin qui in cucina."
""A me invece è capitato in un altro modo" disse la pentola di ferro vicino alla quale si trovavano i fiammiferi. "Da quando sono nata sono stata bollita e raschiata moltissime volte! Devo occuparmi di cose concrete e, a dire il vero, sono io la più importante della casa. La mia unica gioia è, dopo il pranzo, stare qui sulla mensola ben pulita a chiacchierare con i compagni; ma noi viviamo sempre in casa, a parte il secchio dell'acqua che ogni tanto è portato nel cortile. Il nostro unico informatore è la borsa della spesa, ma quella si agita sempre nel parlare del governo e del popolo; addirittura l'altro giorno c'era una vecchia pentola che per lo spavento è caduta e s'è rotta! Quella è una liberale, ve lo dico io!"
""Tu parli troppo" esclamò l'acciarino e batté sulla pietra focaia per far scintille. "Perché non ci divertiamo questa sera?"
""Sì, vediamo chi di noi è più distinto!" suggerirono i fiammiferi.
""No, a me non piace parlare di me stessa!" disse la pentola di coccio. "Organizziamo invece una vera serata! Comincio io: vi racconto una storia che noi tutti abbiamo vissuto; così è facile immedesimarvisi, e poi è divertente. Presso i faggi danesi che si trovano lungo il Mar Baltico..."
""È un inizio bellissimo!" esclamarono tutti i piatti "sarà sicuramente una bella storia."
""Sì. Là trascorsi la mia giovinezza, presso una famiglia tranquilla. I mobili venivano lucidati, il pavimento veniva lavato e cambiavano le tendine ogni quindici giorni."
""Com'è interessante quello che raccontate!" disse il piumino per spolverare. "Si sente subito che è una signora quella che racconta! c'è un'aria così pulita nelle sue parole!"
""Sì, è vero!" disse il secchio dell'acqua, e saltellò di gioia così che l'acqua schizzò sul pavimento.
"E la pentola continuò a raccontare e la fine fu bella come l'inizio.
"Tutti i piatti tintinnavano per la gioia, il piumino prese del prezzemolo dal secchio di sabbia e incoronò la pentola, perché sapeva che avrebbe fatto rabbia agli altri, e "se io la incorono oggi" pensava "domani mi incoronerà lei."
""Adesso vogliamo ballare!" esclamarono le molle del camino e ballarono. Dio mio! come sollevavano le gambe! La vecchia fodera della sedia nell'angolo rideva a crepapelle nel vederle! "Possiamo essere incoronate anche noi?" chiesero le molle e lo furono.
""Non è altro che popolino!" pensavano i fiammiferi.
"Adesso doveva cantare la teiera, ma era raffreddata, o almeno così disse, non poteva cantare se non bolliva, ma non era che mania di grandezza: voleva cantare solo quando si trovava a tavola con gli invitati.
"Vicino alla finestra c'era una vecchia penna d'oca, con cui la domestica scriveva; non aveva nulla di strano, eccetto che era stata immersa troppo nel calamaio, ma di questo era orgogliosa. "La teiera non vuole cantare?" esclamò "non fa niente, qui fuori c'è una gabbia con un usignolo, che sa cantare; lei invece non ha mai imparato, ma non parliamo male di lei questa sera!"
""Io penso che sia molto sconveniente" disse il bollitore, che era il cantante della cucina e il fratellastro della teiera "dover sentire un uccello estraneo. Vi pare patriottico? Lasciamo giudicare dalla borsa della spesa."
""Sono proprio arrabbiata!" disse la borsa "così arrabbiata che non potete immaginare! è forse un bel modo di trascorrere la serata? non è meglio mettere un po' in ordine la casa? Ognuno dovrebbe tornare al suo posto e io dirigerei il tutto sarebbe diverso!"
""Sì, facciamo un po' di ordine!" dissero tutti. In quel mentre si aprì la porta. Era la domestica, e tutti rimasero quieti, nessuno fiatò; ma non c'era una sola pentola che non fosse conscia di quello che avrebbe potuto fare e non se ne sentisse orgogliosa. "Sì, se avessi voluto" pensavano "sarebbe stata una serata divertente!"
"La domestica prese i fiammiferi e accese il fuoco. Dio mio! come crepitavano e che fiamma!
""Adesso ognuno può vedere che noi siamo i più importanti!" pensavano i fiammiferi "e che splendore, che luce abbiamo!" e già erano tutti consumati."
"Che bella storia" esclamò la regina "mi sono proprio sentita in cucina con i fiammiferi. Sì, tu avrai nostra figlia."
"Certo!" aggiunse il re. "Sposerai nostra figlia lunedì." Ormai gli dava del tu, dato che doveva far parte della famiglia.
Il matrimonio era stato fissato e la sera prima la città venne tutta illuminata: volavano in aria ciambelline e maritozzi; i monelli di strada si alzavano in punta di piedi per prenderle e urlavano Urrà! e fischiavano con le dita; era semplicemente meraviglioso!
"Anch'io devo fare qualcosa!" pensò il figlio del commerciante, e comprò dei razzi illuminanti, dei petardi e tutti i fuochi artificiali che si potessero immaginare, li mise nel baule e volò in alto.
Rutsch! come funzionavano bene! e che scoppi!
Tutti i turchi saltavano in aria a ogni scoppio e le pantofole gli arrivavano fino alle orecchie: un tale spettacolo non l'avevano mai visto prima. Adesso capivano che era proprio il dio dei turchi che doveva sposare la principessa.
Quando il figlio del commerciante ridiscese col suo baule nel bosco pensò: "Voglio andare in città a sentire che cosa dicono di me!," e era naturale che avesse voglia di farlo.
Quali cose raccontava la gente! ognuno di quelli a cui domandava l'aveva visto in modo differente, ma a tutti era parso straordinario.
"Io ho visto il dio dei turchi in persona!" raccontò uno. "Aveva occhi che splendevano come stelle e una barba come l'acqua spumeggiante!"
"Volava avvolto in un mantello di fuoco" diceva un altro.
"Bellissimi angioletti spuntavano dalle pieghe."
Sì, sentì dire delle cose bellissime e il giorno dopo doveva esserci il matrimonio.
Tornò nel bosco per infilarsi nel baule, ma dov'era finito? Il baule era tutto bruciato. Una scintilla dei fuochi artificiali vi era caduta sopra, aveva appiccato il fuoco, e ora il baule era diventato cenere. Lui non era più in grado di volare, non poteva più raggiungere la sua sposa.
Lei rimase tutto il giorno sul tetto a aspettare; sta aspettando ancora mentre lui gira per il mondo e racconta storie, che però non sono divertenti come quella che aveva raccontato sui fiammiferi.
Es war einmal ein Kaufmann, der war so reich, daß er die ganze Straße und fast noch eine kleine Gasse mit Silbergeld pflastern konnte; aber das tat er nicht, er wußte sein Geld anders anzuwenden, und gab er einen Groschen aus, so bekam er einen Taler wieder, ein so kluger Kaufmann war er – bis er starb.
Der Sohn bekam nun all dieses Geld, und er lebte lustig, ging jeden Tag einem anderen Vergnügen nach, machte Papierdrachen von Talerscheinen und warf in das Wasser mit Goldstücken anstatt mit einem Steine. So konnte das Geld wohl zu Ende gehen. Zuletzt besaß er nicht mehr als vier Groschen und hatte keine anderen Kleider als ein Paar Schuhe und einen alten Schlafrock. Nun kümmerten sich seine Freunde nicht mehr um ihn, da sie ja nicht zusammen auf die Straße gehen konnten; aber einer von ihnen, der gutmütig war, sandte ihm einen alten Koffer mit der Bemerkung: "Packe ein!" Ja, das war nun ganz gut, aber er hatte nichts einzupacken, darum setzte er sich selbst in den Koffer.
Das war ein merkwürdiger Koffer. Sobald man an das Schloß drückte, konnte der Koffer fliegen. Das tat nun der Mann, und sogleich flog er mit dem Koffer durch den Schornstein hoch über die Wolken hinauf, weiter und weiter fort; sooft aber der Boden ein wenig krachte, war er sehr in Angst, daß der Koffer in Stücke gehe, denn alsdann hätte er einen ganz tüchtigen Luftsprung gemacht. So kam er nach dem Lande der Türken. Den Koffer verbarg er im Walde unter verdorrten Blättern und ging dann in die Stadt hinein; das konnte er auch recht gut, denn bei den Türken gingen ja alle so wie er in Schlafrock und Pantoffeln. Da begegnete er einer Amme mit einem kleinen Kinde. "Höre du, Türkenamme," fragte er, "was ist das für ein großes Schloß hier dicht bei der Stadt, wo die Fenster so hoch sitzen?"
"Da wohnt die Tochter des Königs!" erwiderte die Frau. "Es ist prophezeit, daß sie über einen Geliebten sehr unglücklich werden würde, und deshalb darf niemand zu ihr kommen, wenn nicht der König und die Königin mit dabei sind!"
"Ich danke!" sagte der Kaufmannssohn, ging hinaus in den Wald, setzte sich in seinen Koffer, flog auf das Dach des Schlosses und kroch durch das Fenster zur Prinzessin.
Sie lag auf dem Sofa und schlief; sie war so schön, daß der Kaufmannssohn sie küssen mußte; sie erwachte und erschrak gewaltig, aber er sagte, er sei der Türkengott, der durch die Luft zu ihr heruntergekommen sei, und das gefiel ihr.
So saßen sie beieinander, und er erzählte ihr Geschichten von ihren Augen; das waren die herrlichsten, dunklen Seen, und da schwammen die Gedanken gleich Meerweibchen; und er erzählte von ihrer Stirn, die war ein Schneeberg mit den prächtigsten Sälen und Bildern; und er erzählte vom Storch, der die lieblichen, kleinen Kinder bringt.
Ja, das waren schöne Geschichten! Dann freite er um die Prinzessin, und sie sagte sogleich ja!
"Aber Sie müssen am Sonnabend herkommen," sagte sie, "da sind der König und die Königin bei mir zum Tee! Sie werden sehr stolz darauf sein, daß ich den Türkengott bekomme, aber sehen Sie zu, daß Sie ein recht hübsches Märchen wissen, denn das lieben meine Eltern ganz außerordentlich; meine Mutter will es erbaulich und vornehm und mein Vater belustigend haben, so daß man lachen kann!"
"Ja, ich bringe keine andere Brautgabe als ein Märchen!" sagte er, und so schieden sie, aber die Prinzessin gab ihm einen Säbel, der war mit Goldstocken besetzt, und die konnte er gerade gebrauchen.
Nun flog er fort, kaufte sich einen neuen Schlafrock und saß dann draußen im Walde und dichtete ein Märchen; das sollte bis zu Sonnabend fertig sein, und das ist nicht leicht.
Es wurde fertig, und da war es Sonnabend.
Der König, die Königin und der ganze Hof warteten mit dem Tee bei der Prinzessin. Der Kaufmannssohn wurde freundlich empfangen.
"Wollen Sie uns nun ein Märchen erzählen," sagte die Königin, "eins, das tiefsinnig und belehrend ist?"
"Aber worüber man, auch wenn es viel Weisheit enthält, doch noch lachen kann!" sagte der König.
"Jawohl!" erwiderte er und erzählte; da muß man nun gut aufpassen.
"Es war einmal ein Bund Streichhölzer, die waren außerordentlich stolz auf ihre hohe Herkunft; ihr Stammbaum, das heißt, die große Fichte, wovon sie jedes ein kleines Hölzchen waren, war ein großer, alter Baum im Walde gewesen. Die Streichhölzer lagen nun in der Mitte zwischen einem alten Feuerzeuge und einem alten, eisernen Topfe, und diesem erzählten sie von ihrer Jugend. 'Ja, als wir noch im Baum waren', sagten sie, 'da waren wir wirklich auf einem grünen Zweig! Jeden Morgen und Abend gab es Diamanttee, das war der Tau. Den ganzen Tag hatten wir Sonnenschein, wenn die Sonne da war, und alle die kleinen Vögel mußten uns Geschichten erzählen. Wir konnten wohl merken, daß wir auch reich waren, denn die Laubbäume waren nur im Sommer bekleidet, aber unsere Familie hatte Mittel zu grünen Kleidern sowohl im Sommer als im Winter. Doch da kam der Holzhauer, und unsere Familie wurde zersplittert; der Stammherr erhielt Platz als Hauptmast auf einem prächtigen Schiffe, das die Welt umsegeln konnte, wenn es wollte, die anderen Zweige kamen nach anderen Orten, und wir haben nun das Amt, der Menge das Licht anzuzünden; deshalb sind wir vornehmen Leute hier in die Küche gekommen.'
'Mein Schicksal gestaltete sich auf eine andere Weise!' sagte der Eisentopf, an dessen Seite die Streichhölzer lagen. 'Vom Anfang an, seit ich in die Welt kam, bin ich vielmal gescheuert und gewärmt worden; ich sorge für das Dauerhafte und bin der Erste hier im Hause. Meine einzige Freude ist, nach Tische rein und sauber auf meinem Platze zu liegen und ein vernünftiges Gespräch mit den Kameraden zu führen. Wenn ich den Wassereimer ausnehme, der hin und wieder einmal zum Hof hinunterkommt, so leben wir immer innerhalb der Türen. Unser einziger Neuigkeitsbote ist der Marktkorb, aber der spricht zu unruhig über die Regierung und das Volk. Ja, neulich war da ein alter Topf, der vor Schreck darüber niederfiel und sich in Stücke schlug; der war gut gesinnt, sage ich euch!' – 'Nun sprichst du zuviel!' fiel das Feuerzeug ein, und der Stahl schlug gegen den Feuerstein, daß es sprühte. 'Wollen wir uns nicht einen lustigen Abend machen?'
'Ja, laßt uns davon sprechen, wer der vornehmste ist!' sagten die Streichhölzer.
'Nein, ich liebe es nicht, von mir selbst zu reden', wendete der Tontopf bescheiden ein. 'Laßt uns eine Abendunterhaltung veranstalten. Ich werde anfangen, ich werde etwas erzählen, was ein jeder erlebt hat; da kann man sich leicht darein finden, und es ist sehr erfreulich! An der Ostsee bei den Buchen –'
'Das ist ein hübscher Anfang!' sagten die Teller. 'Das wird sicher eine Geschichte, die uns gefällt!'
'Ja, da verlebte ich meine Jugend bei einer stillen Familie; die Möbel wurden geputzt, die Fußböden gescheuert, und alle vierzehn Tage wurden neue Vorhänge aufgehängt!'
'Wie gut Sie erzählen!', sagte der Haarbesen. 'Man kann gleich hören, daß ein Frauenzimmer erzählt; es geht etwas Reines hindurch!'
'Ja, das fühlt man!' sagte der Wassereimer und machte vor Freude einen kleinen Sprung, so daß es auf dem Fußboden klatschte.
Der Topf fuhr zu erzählen fort, und das Ende war ebensogut wie der Anfang.
Alle Teller klapperten vor Freude, und der Haarbesen zog grüne Petersilie aus dem Sandloche und bekränzte den Topf, denn er wußte, daß es die andern ärgern werde. 'Bekränze ich ihn heute', dachte er, 'so bekränzt er mich morgen.'
'Nun will ich tanzen!' sagte die Feuerzange und tanzte. Ja, Gott bewahre uns, wie konnte sie das eine Bein in die Höhe strecken! Der alte Stuhlbezug dort im Winkel platzte, als er es sah. 'Werde ich nun auch bekränzt?' fragte die Feuerzange, und das wurde sie.
'Das ist das gemeine Volk!' dachten die Streichhölzer.
Nun sollte die Teemaschine singen, aber sie sagte, sie sei erkältet, sie könne nicht, wenn sie nicht koche; doch das war bloß Vornehmtuerei; sie wollte nicht singen, wenn sie nicht drinnen bei der Herrschaft auf dem Tische stand.
Im Fenster saß eine alte Feder, womit das Mädchen zu schreiben pflegte; es war nichts Bemerkenswertes an ihr, außer daß sie gar zu tief in die Tinte getaucht worden, aber darauf war sie nun stolz. 'Will die Teemaschine nicht singen', sagte sie, 'so kann sie es unterlassen; draußen hängt eine Nachtigall im Käfig, die kann singen; die hat zwar nichts gelernt, aber das wollen wir diesen Abend dahingestellt sein lassen!'
'Ich finde es höchst unpassend', sagte der Teekessel – er war Küchensänger und Halbbruder der Teemaschine –, 'daß ein fremder Vogel gehört werden soll! Ist das Vaterlandsliebe? Der Marktkorb mag darüber richten!'
'Ich ärgere mich nur', sagte der Marktkorb, 'ich ärgere mich so, wie es sich kein Mensch denken kann! Ist das eine passende Art, den Abend hinzubringen? Würde es nicht vernünftiger sein, Ordnung herzustellen? Ein jeder müßte auf seinen Platz kommen, und ich würde das ganze Spiel leiten. Das sollte etwas anderes werden!'
'Laßt uns Lärm machen!' sagten alle. Da ging die Tür auf. Es war das Dienstmädchen, und da standen sie still. Keiner bewegte sich; aber da war nicht ein Topf, der nicht gewußt hätte, was er zu tun vermöge und wie vornehm er sei. 'Ja, wenn ich gewollt hätte', dachte jeder, 'so hätte es ein recht lustiger Abend werden sollen!'
Das Dienstmädchen nahm die Streichhölzer und zündete sich Feuer damit an. Wie sie sprühten und in Flammen gerieten!
'Nun kann doch ein jeder sehen', dachten sie, 'daß wir die Ersten sind. Welchen Glanz wir haben, welches Licht!' Damit waren sie ausgebrannt."
"Das war ein herrliches Märchen!" sagte die Königin. "Ich fühle mich ganz in die Küche versetzt zu den Streichhölzern, ja, nun sollst du unsere Tochter haben."
"Jawohl!" sagte der König, "du sollst unsere Tochter am Montag haben!"
Denn nun sagten sie du zu ihm, da er ja nun fortan sowieso zur Familie gehören sollte.
Die Hochzeit war nun bestimmt, und am Abend vorher wurde die ganze Stadt beleuchtet, Zwieback und Brezeln wurden ausgeteilt, die Straßenbuben riefen hurra und pfiffen auf den Fingern, es war außerordentlich prachtvoll.
'Ja, ich muß wohl auch etwas tun!' dachte der Kaufmannssohn und kaufte Raketen, Knallerbsen und alles Feuerwerk, was man erdenken konnte, legte es in seinen Koffer und flog damit in die Luft.
Das war kein kleiner Lärm!
Alle Türken hüpften dabei in die Höhe, daß ihnen die Pantoffeln um die Ohren flogen; solche Lufterscheinungen hatten sie noch nie gesehen. Nun konnten sie begreifen, daß es der Türkengott selbst war, der die Prinzessin haben sollte.
Sobald der Kaufmannssohn wieder mit seinem Koffer herunter in den Wald kam, dachte er: 'Ich will doch in die Stadt hineingehen, um zu erfahren, wie es sich ausgenommen hat'; es war ganz natürlich, daß er Lust dazu hatte.
Was doch die Leute erzählten! Ein jeder, den er danach fragte, hatte es auf seine Weise gesehen, aber schön hatten es alle gefunden.
"Ich sah den Türkengott selbst," sagte der eine, "er hatte Augen wie glänzende Sterne und einen Bart wie schäumendes Wasser!"
"Er flog in einem Feuermantel," sagte ein anderer. "Die lieblichsten Engelskinder blickten aus den Falten hervor!"
Ja, das waren herrliche Sachen, die er hörte, und am folgenden Tage sollte er Hochzeit haben.
Nun ging er nach dem Walde zurück, um sich in seinen Koffer zu setzen – aber wo war der? Der Koffer war verbrannt. Ein Funken des Feuerwerks war zurückgeblieben, der hatte Feuer gefangen, und der Koffer lag in Asche. Nun konnte der Kaufmannssohn nicht mehr fliegen, nicht mehr zu seiner Braut gelangen.
Sie stand den ganzen Tag auf dem Dache und wartete; sie wartet noch, aber er durchwandert die Welt und erzählt Märchen, doch sind sie nicht mehr so lustig wie das Märchen von den Streichhölzern, das er als Türkengott erzählte.